Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

 

logo_mf

Nel terzo trimestre dell’anno i mercati di borsa sono andati bene e anche le forme di previdenza complementare hanno proseguito il recupero delle performance, benché con un bilancio in chiaroscuro. Come anticipato da MF-Milano Finanza, nei primi 9 mesi dell’anno, al netto di costi di gestione e fiscalità, i rendimenti dei fondi negoziali rispetto all’inizio del 2020 sono tornati positivi (+0,2% in media). I rendimenti sono invece rimasti negativi per i fondi aperti (-0,9%) e per i Pip di ramo III (-4,7%). Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dalle cedole incassate sui titoli detenuti, il risultato è stato dell’1%. I dati emergono dalle rilevazioni Covip, che mostrano un settore resistente alla pandemia. Nel decennio 2010-2019 il rendimento medio annuo composto è stato pari al 3,6% per i negoziali, al 3,8 per i fondi aperti e per i Pip di ramo III e al 2,6% per le gestioni di ramo I con la rivalutazione del Tfr pari al 2% annuo. Aggiungendo ai dieci anni gli ultimi nove mesi i rendimenti medi annui composti scendono al 3,4% per i negoziali, al 3,5% per i fondi aperti e al 3,1% per i Pip di ramo III con il Tfr all’1,9% annuo.
Il risultato operativo è in crescita e anche l’obiettivo di fine anno, compreso tra 350 e 375 milioni, rimane invariato, ma svalutazioni per 61 milioni hanno pesato sul risultato netto di Cattolica Assicurazioni. Mentre l’iniezione di capitale di Generali ha messo in sicurezza Solvency II al 205%. La compagnia assicurativa presieduta da Paolo Bedoni ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con un risultato netto di 42 milioni, in calo del 50,5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. «L’utile netto di gruppo risulta in flessione rispetto all’anno precedente soprattutto a causa dell’impairment sul goodwill rilevato nel primo semestre (-61 milioni)», hanno fatto sapere da Verona, sottolineando allo stesso tempo che «anche se in un contesto complicato dalla crisi provocata dalla pandemia, il gruppo ha registrato un risultato operativo in miglioramento a 297 milioni (+37,5%)», tanto che la compagnia ha deciso di tenere ferme le previsioni di chiusura 2020 già comunicate al mercato. Frena invece la raccolta premi complessiva del lavoro, calata del 17,3% a 4,1 miliardi, prevalentemente a seguito del periodo di lockdown.
Valutazione del concorrente o endorsement dell’azionista? Si prestano a diverse interpretazioni le parole che ieri pomeriggio Massimo Doris ha speso su un’eventuale acquisizione di Banca Generali da parte di Mediobanca. L’amministratore delegato di Banca Mediolanum è stato stimolato sul tema nel corso della presentazione dei risultati trimestrali, poche settimane dopo le voci intorno a un deal su cui nella city milanese si specula da anni. L’operazione «ha sicuramente senso per il gruppo Mediobanca, che è fortissimo nell’investment banking e nell’erogazione del credito con Compass. Va abbastanza bene con CheBanca nel retail. Avevano preso Esperia, che va su una nicchia di mercato molto alta. E, siccome vogliono svilupparsi nella banca retail andando su clienti affluent, prendere Banca Generali e integrarla con CheBanca ha sicuramente senso», ha puntualizzato Doris. «Non ho la più pallida idea se accadrà o meno o se siano in contatto o no, ma dal punto del piano di business ha sicuramente senso». Pur nella sua prudenza l’endorsement è significativo, visto che con il suo 3,3% la famiglia Doris è tra i soci storici di Piazzetta Cuccia nonché primo azionista dell’accordo di consultazione che ha rimpiazzato il vecchio patto di sindacato. Solidi sono i rapporti con l’amministratore delegato Alberto Nagel che alla fine di ottobre è stato confermato al vertice di Mediobanca per un nuovo mandato triennale.
L’emergenza coronavirus sta colpendo duramente il settore industriale, con inevitabili conseguenze sulla puntualità dei pagamenti delle imprese. Nella classifica realizzata da Cribis (società del gruppo Crif), che si riferisce al primo semestre di quest’anno, l’Italia (14° posto) non ha però perso posizioni in Europa, ma addirittura ne ha guadagnata una rispetto al 2019. Nel dettaglio, le aziende italiane che rispettano i tempi di pagamento concordati sono il 35% (erano il 34,7% a fine 2019) mentre l’11,8% salda i conti con ritardi superiori ai 30 giorni, con un peggioramento rispetto all’anno precedente (10,5%). In generale in Europa, la puntualità dei pagamenti a fine giugno si è aggravata, oltre che in Irlanda, dove le società che pagano alla scadenza sono scese al 30,2%, in Romania (dal 20,3% di fine 2019 al 13,4%), Russia (dal 74,3% al 71,3%) e Polonia (dal 78,7% al 76,5%).
  • Italia seconda in Ue per rischio imprese
L’Italia è il secondo Paese europeo più colpito dalla pandemia, dopo la Spagna, per percentuale di imprese a rischio fallimento. È quanto certifica un report pubblicato dalla Bce. In Spagna il 25% delle imprese rischia di avere seri problemi di liquidità senza un sostegno economico. La percentuale italiana è poco superiore al 15%, ma potrebbe avvicinarsi al 25% senza tenere conto delle attuali misure di sostegno economico. Oltre un lavoratore su dieci è impiegato in imprese a rischio di fallimento in Italia, e la percentuale sarebbe più alta senza la cassa integrazione. Sul totale delle imprese italiane, oltre il 20% di quelle italiane presenta capitale circolante negativo, oltre il 10% sono illiquide: le percentuali salgono ipotizzando l’assenza della cig. La conclusione è che se gli aiuti alle imprese venissero ritirati troppo presto, potrebbe esserci una sorta di «effetto valanga» sull’economia dovuta alla distruzione di potenziale produttivo.

«Ci sono voci sul fatto che Bce e Banca d’Italia dovrebbero andare verso un’autorizzazione a pagare i dividendi in modo selettivo. La nostra aspettativa, visto che dal punto di vista patrimoniale siamo messi benissimo, è di avere la possibilità nel 2021 di pagare il saldo dividendi dell’esercizio 2019 e tutto il dividendo 2020. Siamo in attesa che i regolatori ci diano l’autorizzazione»: lo ha affermato Massimo Doris, a.d. del gruppo Mediolanum, dopo la pubblicazione dei risultati finanziari a fine settembre. Il Cet 1 è salito al 21,8%, raggiungendo i massimi storici a seguito della capitalizzazione del saldo dividendo 2019 non distribuito in osservanza delle raccomandazioni di Bankitalia.
  • La previdenza integrativa raggiunge 8,4 mln di iscritti
La pandemia mette (anche) i bastoni tra le ruote alla previdenza complementare, frenandone sì la crescita, ma senza arrivare a interromperne la corsa: alla fine di settembre, infatti, le forme pensionistiche integrative ammontavano a «9,289 milioni di posizioni in essere», con una salita, al confronto con la fine del 2019, «pari a 172.000 unità (1,9%)». E il totale degli iscritti (inclusi coloro che hanno aderito a più di un modello di risparmio) può esser stimato in «8,420 milioni di individui». Lo si legge nell’ultima rilevazione compiuta dalla Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), che evidenzia come, sempre ponendo come termine di paragone la «performance» dell’anno passato, «nei fondi negoziali si registrano circa 90.000 posizioni in più (2,8%), portandone la somma a 3,250 milioni». Quanto alle risorse destinate alle prestazioni «sono pari a circa 190 miliardi, 5 miliardi in più rispetto a quanto rilevato alla fine del 2019»; il patrimonio dei fondi negoziali assomma a 58,1 miliardi, il 3,6% in più, per quelli aperti si attesta a 23,8 miliardi e a 37,2 miliardi per i Pip «nuovi» salendo, rispettivamente, del 4,1% e del 4,9%. Ed i flussi contributivi nei nove mesi del 2020 hanno totalizzato 8,2 miliardi. È sul versante del Tfr (Trattamento di fine rapporto) che la Covip mette in risalto un dato di rilievo: nonostante l’avanzata del Coronavirus, i rendimenti dei fondi di previdenza integrativa sono risultati superiori al Tfr se si guarda a un orizzonte di 10 anni. Al netto dei costi di gestione e della fiscalità, i ricavi dei fondi negoziali rispetto all’inizio del 2020 «sono ritornati positivi, risultando pari in media allo 0,2%, mentre son rimasti negativi per i fondi aperti (-0,9%), e per i Pip di ramo III (-4,7%)».
  • Ipo, Uber for Trucks cerca 1,44 mld euro
Full Truck Alliance (Uber for Trucks), startup cinese che fornisce un servizio simile a quello di Uber nel settore degli autotrasporti, raccoglierà 1,7 miliardi di dollari (1,44 mld euro) per espandere l’attività in vista dell’Ipo in programma nel 2021: lo hanno riferito fonti di mercato all’agenzia Dow Jones Newswires. La società, che gode del supporto di SoftBank e Alphabet tra i principali sostenitori di alto profilo, ha ricevuto una valutazione di mercato attorno a 10 miliardi (8,46 mld euro) prima della raccolta di capitale. Fidelity e il private equity Permira sono alcuni degli investitori che prenderanno parte all’ultimo round di finanziamento. Conosciuta anche come Manbang in Cina, l’azienda aveva raccolto circa 2 miliardi di dollari nel 2018, con una valutazione di 6 mld. Oltre a SoftBank e Alphabet, gli investitori in quel round includevano Sequoia Capital China, Tencent e Ggv Capital. La società ha sede legale a Guiyang, nella provincia sud-occidentale del Guizhou, ed è nata nel 2017 dalla fusione di due grandi società di truck-hailing. Essa gestisce un’app mobile che collega i conducenti di camion alle aziende che devono spedire merci all’interno del paese e opera in più di 300 città cinesi, offrendo finanziamenti per la logistica, assicurazioni, carte carburante e vendite di camion nuovi. Full Truck Alliance si presenta come la più grande piattaforma di logistica stradale a livello mondiale, che mette in comunicazione conducenti di camion e aziende per transazioni di trasporto di merci, con un giro d’affari annuale di 100 miliardi di dollari (84,6 mld euro).
  • Utili Cattolica a 116 mln
Cattolica assicurazioni ha chiuso i nove mesi con un utile adjusted di 116 milioni di euro, in crescita del 21% su base annua. L’utile netto è ammontato a 42 milioni, in calo del 50,5% soprattutto a causa dell’impairment sul goodwill rilevato nel primo semestre (-61 mln). Grazie anche alla crescita nel segmento Vita, il risultato operativo è balzato del 37,5% a 297 milioni, portando il roe operativo al 10%. La raccolta premi complessiva è scesa del 17,3% a 4,124 miliardi a seguito del periodo di lockdown. Nel business Danni diretto si è riscontrata una flessione del 2,6% dovuta all’Auto. La flessione della raccolta Vita è stata del 24%. Il combined ratio risulta in netto miglioramento al 90% (-5,1 punti) nonostante l’accantonamento per tener conto del voucher per i clienti Auto che pesa il 3,3% dei premi di competenza. Il patrimonio netto consolidato è ammontato a 2,392 miliardi, stabile rispetto a dicembre, e l’indice Solvency II si è posizionato al 161%. In base a una stima calcolata a fine ottobre l’indice sarebbe intorno al 205%: un indicatore che non tiene conto né dell’effetto potenziale dei recessi, né di quello dell’aumento di capitale in opzione già approvato e che sarà verosimilmente eseguito nei prossimi mesi.

corsera

  • Banca Mediolanum, la raccolta compensa lo choc della crisi
Banca Mediolanum ha chiuso i primi nove mesi del 2020 con 249,8 milioni di utili, in calo dai 284,8 milioni del 2019 solo per le «minori performance fees e per l’assenza dell’equity contribution» della quota in Mediobanca, spiega l’istituto guidato da Massimo Doris. Tuttavia «la straordinaria raccolta netta in prodotti gestiti ha più che compensato» l’impatto sulle fee ricorrenti causato dallo shock sui mercati del primo trimestre. La raccolta netta totale è stata positiva per 5,8 miliardi, quella gestita di 2,97 miliardi in forte crescita sul 2019. Salgono i crediti erogati a 2,1 miliardi, +13%.

Repubblica_logo

  • Il risparmio non dorme mai I soldi sul conto corrente spingono anche i consumi
Non muovono i mercati, però possono far decollare i consumi. I risparmi nei conti correnti degli italiani possono diventare un motore di ripresa anche se non vengono usati per comprare azioni o titoli di Stato: hanno infatti un consistente effetto positivo sui consumi. Da uno studio appena pubblicato dalla Banca d’Italia, dal titolo “Consumption and Wealth: New Evidence from Italy”, emerge che un aumento della ricchezza finanziaria liquida in rapporto al reddito corrente ha come conseguenza un aumento della spesa pari al 7,5% della ricchezza aggiuntiva. E infatti l’impatto sui consumi di attività finanziarie più difficili da liquidare in breve tempo, e cioè azioni non quotate, fondi pensione e polizze assicurative, è più che dimezzato, circa il 3 per cento. Ancora inferiore l’effetto di un investimento immobiliare (anche se lo studio non distingue tra l’acquisto di una prima casa per abitazione e per investimento): vale la difficoltà di “liquidare” in breve tempo il bene, i tempi di vendita sono quelli che sono, e quindi l’aumento dei consumi in relazione all’investimento in case non arriva al 2 per cento. Naturalmente poi ci sono altre variabili che incidono sui consumi, a cominciare da quella che stiamo vivendo adesso: le crisi economiche. E infatti lo studio di Bankitalia, che analizza i consumi aggregati delle famiglie dal 1975 al 2017, riscontra un impatto negativo significativo della crisi del 1992-1993, che ha determinato una riduzione duratura del reddito disponibile delle famiglie. Anche i tassi d’interesse hanno un peso: se sono molto alti frenano la spesa perché il credito al consumo costa molto, e perché anche gli investimenti meno rischiosi diventano convenienti, perché remunerativi.

  • Aziende, l’emergenza sanitaria non ferma premi e welfare: +23% tra marzo e ottobre
Il lock down e l’emergenza sanitaria non fermano la contrattazione di secondo di livello, che da marzo a ottobre registra un balzo in avanti. A inizio pandemia, ovvero a marzo, il ministero del Lavoro registrava 11.061 dichiarazioni attive relative a premi di produttività e welfare; a metà ottobre si è saliti a 13.630 (+23,2%). Le erogazioni monetarie o in beni e servizi interessano oggi più 3,2 milioni di lavoratori, con un valore medio annuo del premio pari a 1.330 euro. Si tratta, dunque, di un ampliamento della diffusione importante, soprattutto se si considera il particolare momento di emergenza che sta interessando tutto il mondo produttivo. Questo aumento, come spiega lo studio De Fusco & Partners, è dovuto ai molti contratti precedenti per cui sono stati modificati gli obiettivi (produttività, qualità, redditività, etc), riaddattandoli alle nuove condizioni che la pandemia ha prodotto nelle aziende per cercare di non perdere premi e welfare incentivati.
  • Cattolica conferma i target per il 2020
Il cda di Cattolica ha approvato i conti dei nove mesi che vedono «una solida crescita del risultato operativo», arrivato a 297 milioni (+37,5%) e un Solvency Ratio (161%) in miglioramento al 30 settembre, che è inoltre stimato a fine ottobre al 205% dopo l’aumento di capitale da 300 milioni sottoscritto da Generali. L’utile netto di gruppo risulta dimezzato a 42 milioni a causa di svalutazioni soprattutto quella sul goodwill (-61 milioni); l’utile adjusted è in aumento del 21% a 116 milioni.

Handelsblatt

 

  • il CEO di Ergo: “La polizza vita classica è superata”
L’assicurazione sulla vita tedesca sta affrontando una svolta. Dopo il leader di mercato Allianz, anche il terzo gruppo assicurativo tedesco Ergo sta pensando di abbandonare la garanzia dei premi al 100% nella previdenza privata per la vecchiaia. “Non possiamo escludere la possibilità di abbandonare gradualmente la garanzia di capitale completa per le polizze vita a medio termine”, ha dichiarato l’amministratore delegato di Ergo Markus Rieß all’Handelsblatt. La garanzia del 100 per cento non poteva più essere adeguata ai tempi a lungo termine. Ergo è il secondo grande assicuratore a mettere in discussione la garanzia al 100% per le polizze vita. Il leader di mercato Allianz aveva già annunciato all’inizio di ottobre che in futuro avrebbe venduto le sue polizze vita senza una garanzia di premio completa. Il continuo crollo dei tassi d’interesse ha rappresentato per anni un pesante onere per il settore delle assicurazioni sulla vita. Questo rende sempre più difficile per le aziende raggiungere gli alti impegni del passato. “In un mondo senza un tasso d’interesse nominale positivo, la previdenza per la vecchiaia deve essere ripensata – questo vale anche per le polizze Riester e i regimi pensionistici aziendali”, ha dichiarato recentemente Jörg Asmussen, amministratore delegato dell’Associazione tedesca delle assicurazioni.