di Antonella Ladisi
Scarsa educazione finanziaria e assicurativa, reddito pro capite sotto la media europea, eccessiva fiducia nell’intervento pubblico e in se stessi. Secondo l’Ivass sono questi alcuni dei motivi che spiegano la sottoassicurazione che si registra in Italia rispetto agli altri Paesi europei. L’indicazione è emersa ieri – nel corso dell’InsuranceDay organizzato da Class Editori in collaborazione con Accenture – in un intervento a cura di Riccardo Cesari, consigliere dell’authority assicurativa.

Si tratta di un fenomeno ormai cronico, tant’è vero che già nel 2018 era emerso come il rapporto tra premi e pil in Italia era stato dell’1,9%, ben al di sotto del 4,5% medio dei Paesi Ocse.

Per cercare di mitigare gli effetti negativi della sottoassciurazione, il regulator ha messo da tempo in campo diverse azioni. Tra esse, la definizione di nuove linee guida semplificate per la redazione dei contratti, all’insegna della chiarezza; la lotta senza quartiere alle frodi grazie a un apposito archivio integrato (Aia) a disposizione non solo delle compagnie assicurative ma anche di forze dell’ordine, magistratura e vigilanza per l’individuazione delle reti criminali in ambito RcAuto; la riduzione di reclami e contenziosi (su questo fronte è stato rilevato come in otto anni – dal 2012 al 2019 – i reclami si siano di fatto dimezzati a 14mila); la creazione dell’Arbitro Assicurativo per dirimere senza costi in extragiudiziale i contenziosi tra clienti e compagnie; la promozione di forme d’educazione assicurativa nelle scuole; la proposta tecnica al Mise per la tabella unica nazionale di risarcimento per i danni non patrimoniali macropermanenti. Tra gli altri rappresentanti del mondo assicurativo intervenuti nel corso della giornata, Luca Filippone, dg di Reale Mutua Assicurazioni ha evidenziato come uno degli elementi di cambiamento che ha comportato il Covid è la crescita della consapevolezza di protezione da parte dei cittadini. Sta maturando sempre di più anche in Italia la percezione di un ruolo sociale e economico del settore assicurativo. Lo stesso concetto è stato ribadito anche da parte di Isabella Fumagalli, ceo di Bnp Paribas Cardif, che ha poi ricordato che un altro effetto della crisi pandemica è stato la crescita di fiducia sia dei clienti, «che ci hanno trovato al loro fianco quando ne avevano bisogno», sia dei dipendenti, «che sono stati formati adeguatamente su nuove competenze che sono indispensabili per il futuro». Per Edoardo Fontana Rava di Mediolanum, al Covid invece va il merito di aver portato «i clienti a fare il tagliando della loro situazione complessiva sulla sicurezza e la salute».

La sensibilità degli individui è cresciuta, ma bisogna direzionarli. A questo proposito secondo il direttore della banca risulta indispensabile aumentare le capacità dei family banker. Nella medesima occasione Pierre Cordier, ad e dg di Gruopama, non ha mancato di evidenziare come l’emergenza sanitaria abbia acceso i riflettori sull’urgenza di avere riserva monetaria per preservare il futuro. Per questo motivo adesso spetta alle compagnie assicurative cercare di ripensare le modalità di offerta e servizio, specie nel comparto vita. Per il ceo la parola d’ordine per i prossimi anni è flessibilità, ovvero poter intervenire più volte nel corso della vita del prodotto e adattandolo al contesto.

La sfida per il settore arriva anche dalle polizze vita, con l’Italia che nel settore rappresenta il terzo mercato europeo, ha osservato Alberto Vacca, chief business and investment officer di Aviva Italia. Il comparto è alle prese con i bassi tassi e le regole stringenti di Solvency II che non consento di offrire più polizze con rendimento garantito. «Serve una gestione attiva degli investimenti, con minori garanzie ma cercando il rendimento sfruttando per esempio anche la volatilità, come successo in questi mesi di pandemia», ha concluso il manager. (riproduzione riservata)

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