I ritardi dei pagamenti tornano ai livelli di sei anni fa. Dopo aver cercato di far fronte al primo lockdown mantenendo il saldo delle fatture in linea con gli anni precedenti, le piccole e medie imprese (pmi) italiane hanno iniziato a stringere i cordoni della borsa rallentando i tempi di pagamento dei beni e servizi. Se fino ai primi mesi dell’anno, infatti, il ritardo medio si attestava attorno ai 9,4 giorni, dopo il lockdown i termini temporali per il saldo fattura sono saliti di ulteriori 2,6 giorni, raggiungendo 11,9 e arrivando a toccare gli stessi livelli del 2014. Una situazione che ha interessato in maniera trasversale l’intero settore imprenditoriale della Penisola, con un impatto più forte sulle aziende medio-piccole. «La distribuzione delle piccole e medie imprese in base ai giorni di ritardo ha evidenziato un netto aumento dei ritardi più gravi, che potrebbero sfociare in mancati pagamenti o veri e propri default», hanno spiegato gli analisti del Cerved. «La quota di pmi con ritardi medi tra 30 e 60 giorni è salita dell’1,7% passando dal 5,5% al 7,2%, mentre quelle con ritardi compresi tra 2 e 3 mesi sono salite dal 2,1 al 3,1% a fronte del 3,3% delle pmi con ritardi oltre i tre mesi». Resta invece stabile la quota di imprese puntuali (40,3%), mentre i lievi ritardi, inferiori a un mese, hanno interessato il 46,2% del totale delle imprese. «Nel complesso, il 6,4% delle pmi ha accumulato ritardi gravi: si tratta della percentuale più alta dal 2013, a indicare la situazione di tensione finanziaria per effetto del lockdown», hanno sottolineato gli analisti per cui i ritardi hanno interessato in maniera trasversale tutti i settori dell’economia. Dopo il significativo calo degli ultimi anni nelle costruzioni, che aveva portato i ritardi nel comparto edilizio dal picco di oltre 20 giorni nel 2013 a un minimo di 10 giorni nei primi mesi del 2020, nel secondo trimestre 2020 si è osservata una netta inversione di tendenza (14 giorni di ritardi, in crescita dai 12,4 dell’anno precedente). Male anche i servizi (giorni medi di ritardo saliti da 11,1 di giugno 2019 ai 14,2 del 2020). Più resiliente l’industria con ritardi saliti da 5,9 a 8,1 giorni.

Più preoccupante l’analisi dei dati sui mancati pagamenti. Dopo il minimo del 12,5% toccato nel 2018, le fatture non pagate sono tornate a crescere. «Il dato ha subito un’impennata nel 2020, a causa del lockdown», hanno avvertito gli esperti. «Le fatture non pagate sono salite al 18,8%, livello massimo dal 2013». Anche in questo caso i servizi sono stati il comparto più colpito: dopo il minimo del secondo trimestre 2019 (13,6%), la quota è salita di quasi l’8% a giugno 2020, toccando il 21,5%, valore più alto osservato dal 2014. Dinamica simile anche per il comparto edile. Mentre l’industria si è confermata il comparto più sicuro con una percentuale di fatture non pagate salita tuttavia dal 9,5 al 12,7%.

«La doppia recessione che ha colpito l’economia italiana nel 2008-2009 e nel 2013-2014 ha innescato un processo severo di selezione e ristrutturazione che ha reso le pmi decisamente più solide dal punto di vista patrimoniale e finanziario», hanno sottolineato gli esperti del Cerved. «Inizialmente, per effetto del credit crunch, e anche grazie a una serie di misure di incentivo fiscale, gli imprenditori hanno rafforzato la capitalizzazione delle imprese, che è cresciuta tra 2007 e 2019 del 72%, ben più dei debiti finanziari. Questo ha fatto quasi dimezzare il leverage delle pmi, passato dal 115 al 61%. Le aziende hanno anche beneficiato della politica monetaria fortemente espansiva della Bce e dei bassi tassi di interesse. E grazie alla maggiore solidità, sono diventate più disciplinate nei pagamenti». Poi è arrivato il Covid che ha portato a un inasprimento del tasso potenziale di default delle imprese italiane. «La lunga fase di rafforzamento delle pmi si è interrotta a causa della pandemia e le imprese a rischio potrebbero ora quasi raddoppiare rispetto a un anno prima, passando dall’8,4 al 16,3% (e addirittura al 21,4% in caso di nuovi lockdown) e superando il precedente picco del 2014», hanno avvertito gli esperti del Cerved. L’aumento del rischio sarà però asimmetrico, concentrandosi sui settori dell’industria, dei servizi e delle costruzioni, mentre aumenterà in modo solo marginale nell’energia e nelle utility e tra le aziende agricole.

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