di Claudio Plazzotta
L’emergenza Covid-19 frena ma non interrompe la crescita in Italia del mercato analytics, ovvero degli investimenti in tutte quelle iniziative di aziende e organizzazioni per valorizzare i dati, prendere decisioni rapidamente e sviluppare, attraverso strategie guidate dai dati, il business delle imprese. Secondo l’Osservatorio Big data & Business analytics della School of management del Politecnico di Milano, nel 2020 il comparto analytics della Penisola vale 1,815 miliardi di euro, con un +6% sul 2019, dopo il +26% registrato nel 2019 sul 2018 e il +23% del 2018 sul 2017. Un +6% da considerare un ottimo risultato, in tempi di pandemia e di budget più limitati per le aziende, ma che, in base alla ricerca, mostra pure un divario che va allargandosi tra grandi aziende mature, che reinventano o accelerano la strategia data-driven, e quelle più tradizionali, che invece hanno interrotto o posticipato gli investimenti.

Senza dubbio sia le grandi strutture, sia le pmi, sono alla ricerca di competenze in ambito dati: la figura del data analyst è quella più diffusa, in forte crescita il data engineeer, così come il data visualization expert, con il data scientist stabile. C’è pure una nuova professionalità che va affermandosi negli ultimi mesi: l’analytics translator, ovvero un costruttore di ponti tra il data scientist e l’utente di business finale, per trasferire al meglio le conoscenze tra le parti.

La maggior parte della spesa delle aziende per gli analytics si concentra sui software (52%, con un +16% rispetto al 2019), in particolare per intelligenza artificiale e piattaforme di data science. Seguono i servizi, che rappresentano il 28% del mercato, e le risorse infrastrutturali (20%, con un +7%), cioè i sistemi di abilitazione agli analytics in grado di fornire capacità di calcolo e di immagazzinamento dati. Il budget analytics in cloud cresce del +24% e questa componente arriva a pesare il 19% della spesa.

Le banche sono il primo settore per quota di mercato di investimenti in analytics (28%), seguite da manifattura (24%), telco e media (14%), servizi (8%, in calo), gdo e retail (7,5%, in forte calo), assicurazioni (7%, in crescita notevole), utility (6,5%), pubblica amministrazione e sanità (5%).

Come spiega Carlo Vercellis, ordinario di Machine learning al Politecnico di Milano e responsabile scientifico dell’Osservatorio Big data & Business analytics, emergono alcuni insight interessanti sull’evoluzione dell’uso dei dati in azienda: «C’è la necessità di industrializzare i cosiddetti advanced analytics, perché al momento solo un terzo delle sperimentazioni arriva a diventare un prodotto industrializzato. Poi, come detto, emerge sempre più la figura dell’analytics translator. Si evidenzia una crescita delle sperimentazioni in ambito di natural language processing e di computer vision: ovvero analisti che usano dati non strutturati per chatbot (software che simulano conversazioni umane, ndr), analisi del sentiment, estrazione di informazioni da testi, applicazioni per sistemi di sicurezza con analisi facciale, o per controllo di qualità sulle linee produttive, manutenzione preventiva, identificazione di frodi. Interessante poi notare come crescano i sistemi di machine learning che prendono il controllo di alcuni percorsi di analisi di data science. E, infine, emerge la necessità che data science e data governance convergano, cercando di eliminare le esigenze contrastanti, da un lato, di accedere a tutti i dati senza limiti e, invece, dall’altro, di controllare i dati, inibendone l’accesso».

Nonostante il rallentamento e le difficoltà legate al Covid-19, comunque, il 96% delle grandi imprese continua a compiere attività per migliorare la raccolta e valorizzazione dei dati e il 42% si è mosso, in termini di sperimentazioni e competenze, in ambito advanced analytics. Tra le piccole e medie imprese, invece, il 62% ha in corso qualche attività di analisi dati, di cui il 38% avanzate. Una su due ha compiuto degli investimenti in quest’ambito nell’ultimo anno.

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