di Daniele Bonaddio
L’impossibilità di far carriera, a causa del demansionamento subito da parte del datore di lavoro, non prevede sempre il diritto al risarcimento danni. Infatti, per ottenere l’indennizzo non è sufficiente dimostrare la potenzialità lesiva del comportamento del datore nei confronti del lavoratore, ma è necessaria, oltre all’allegazione del demansionamento, anche la prova del «danno non patrimoniale». In altri termini, è necessario accertare con elementi dettagliati situazioni specifiche, come per esempio: quali sono le concrete possibilità di carriera e di avanzamento che l’interessato non avrebbe potuto conseguire, quali altri colleghi con esperienze lavorative analoghe alle sue avessero conseguito promozioni, quali fossero state le occasioni di avanzamento professionale perse, ecc. A stabilirlo è la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 22144 del 22 ottobre 2020.

Il caso. La vicenda riguarda un dipendente demansionato dall’8° al 3° livello impiegatizio. Il lavoratore, in particolare, era passato da mansioni di esperto studi attività legali, con il compito specifico di fornire pareri legali ai vari uffici della società, a mansioni di gestione dei dati amministrativi relativi agli automezzi delle società del gruppo.

La Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza del primo grado di giudizio, affermava che il dipendente non aveva provato alcuna specifica circostanza di fatto che dimostrasse la sussistenza di un danno non patrimoniale (biologico, esistenziale, all’immagine ecc.) quale conseguenza del demansionamento subito.
Di fatti, rilevavano i giudici di merito, nel ricorso del lavoratore erano contenute solo affermazioni generiche e di scarsissimo rilievo, che non consentivano di ricostruire il concreto verificarsi di alcun danno apprezzabile all’integrità psico-fisica, alla vita di relazione, alla progressione in carriera, all’immagine professionale e personale del lavoratore.
Pertanto, ricadeva sul lavoratore l’onere di documentare l’effettivo demansionamento subito, ma anche di fornire la prova del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale. Tra l’altro, pur potendo il lavoratore ricorrere alla prova per presunzioni, era imprescindibile l’allegazione di fatti storici specifici e individuati senza la cui prova non poteva darsi fondamento al ragionamento presuntivo.

Nello specifico, la Corte d’appello si riferiva a quali fossero le concrete possibilità di carriera e di avanzamento che il lavoratore non avrebbe potuto conseguire, oppure a quali fossero state le occasioni di avanzamento professionale perse.

Il lavoratore, quindi, impugnava la sentenza e ricorreva in Cassazione, in quanto riteneva che il danno patrimoniale da demansionamento fosse rinvenibile dalle mansioni in precedenza svolte (8° livello) e dalle mansioni effettuate successivamente (3° livello).
Inoltre, l’esistenza del demansionamento, la sua durata e la sua gravità, pur se allegati e dimostrati, non erano stati minimamente presi in considerazione dai giudici del gravame, avendo la Corte ritenuto di anteporre a tale verifica l’affermazione che non sarebbe stata fornita prova del danno.
La sentenza. I giudici della Suprema corte hanno respinto il ricorso del lavoratore. Secondo gli ermellini, la Corte distrettuale ha legittimamente ritenuto di bypassare ogni valutazione del dedotto demansionamento escludendo che fosse conseguibile il risarcimento del danno. Nello specifico, i fatti storici allegati (caratteristiche, durata, gravità del demansionamento, frustrazione professionale) erano privi del carattere di specificità, e come tali inidonei a fondare la base del ragionamento presuntivo, che avrebbe consentito di ritenere raggiunta la prova del pregiudizio.

Pertanto, in tema di demansionamento e dequalificazione professionale, il danno non patrimoniale non si identifica con l’inadempimento datoriale. Infatti, non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo l’onere di allegare il demansionamento, ma anche di fornire la prova ex art. 2697 cod. civ. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale.

In altri termini, il pregiudizio è cosa ben diversa dall’inadempimento, anche se il primo può essere desunto attraverso la prova per presunzioni, purché gli indizi siano integrati da elementi che in concreto e non in astratto descrivano durata del demansionamento, conoscibilità all’interno e all’esterno dell’ambiente lavorativo, frustrazione di aspettativa di progressione professionale ecc.

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