di Luisa Leone
Nessuna smentita categorica da parte del sottosegretario del Mef, Pier Paolo Baretta, sulla possibilità di una patrimoniale. Quanto basta per diffondere stupore e sconcerto. Ma dietro le parole pronunciate dall’esponente del Pd lunedì 23 nel corso dell’evento Censis-Tendercapital c’era molto altro. «Siamo in grado di evitarla (la patrimoniale, ndr) nella misura in cui siamo nelle condizioni di favorire che il risparmio privato non resti bloccato, ma diventi un pezzo di una parte importante degli investimenti», spiegava il sottosegretario all’Economia, facendo poi riferimento agli investitori istituzionali, in grado di canalizzare il risparmio privato verso l’economia reale. E proprio su questo sarebbe al lavoro il governo, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza. Al Mef, in particolare, si starebbe ragionando della possibilità di mettere in campo qualche forma di incentivo per gli investitori istituzionali, casse previdenziali e fondi pensione in primis, per indurli a puntare di più sull’economia reale. I due attori sotto la lente dell’esecutivo infatti possono contare su un patrimonio di oltre 280 miliardi (circa 96 miliardi le casse e 185 miliardi i fondi) oltre il 15% del pil nazionale, risorse che se incanalate in parte verso il tessuto produttivo potrebbero avere un impatto significativo.

La soluzione però non è stata ancora trovata perché se l’esigenza dell’esecutivo è chiara, ossia incanalare il risparmio verso l’economia reale, finanziando o ricapitalizzando le imprese, non è stato ancora individuato il grimaldello da utilizzare allo scopo. Una possibilità sarebbe estendere la quota di patrimonio che questi investitori istituzionali possono puntare sull’economia reale (anche attraverso Pir e nuovi Pir alternativi) e su cui possono contare su una completa detassazione dei relativi proventi. Quota che oggi può arrivare fino a un massimo del 10% del patrimonio gestito. Ma questa è solo un’ipotesi tra quelle allo studio. Un’altra è estendere la detassazione anche agli investimenti in obbligazioni, oggi non contemplata dalla normativa.

Il punto è che il governo avrebbe ben presente che quando chiamerà al tavolo le casse e i fondi quelli torneranno a chiedere, come fatto in passato più volte, di ottenere la detassazione completa degli investimenti, che oggi sono appesantiti da un prelievo del 26% sugli utili, come per tutti gli altri investitori. Una misura che potrebbe costare non poco alle casse dello Stato e per questo il dibattito politico all’interno della maggioranza si sarebbe già accesso.

I lavori sono corso ma un’accelerata potrebbe arrivare anche dalla risoluzione dell’impasse sui vertici del Mefop, la società per lo sviluppo del mercato previdenziale, partecipata (al 58%) dal ministero dell’Economia e numerosi fondi, casse e altri attori del settore. Il consiglio di amministrazione è scaduto nel giugno 2019 ma non è ancora stato rinnovato. Attualmente è composto da sette membri ma dovrà passare a cinque, in base alle disposizioni della legge Madia. Al momento però anche su queste nomine (il Mef indica tre dei cinque membri del cda), come per diverse altre partecipate e controllate non quotate del ministero, il governo non sta dimostrando particolare solerzia. (riproduzione riservata)

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