Nella prima ondata della pandemia i mercati finanziari subirono un crollo verticale, salvo poi recuperare nei mesi successivi. Le aziende italiane quotate, ma non solo, erano bocconi appetibili. Lo sono ancora, ovviamente, grazie alla loro indiscussa vitalità, ma allora erano schiacciate da valutazioni fortemente a sconto. In quel drammatico contesto, con il Decreto liquidità (23 dell’8 aprile 2020), il governo decise di estendere la disciplina del cosiddetto golden power, prevista inizialmente solo per operazioni in settori strategici o legati alla sicurezza nazionale. E, dunque, di allargare l’ombrello istituzionale a gran parte dell’industria, dall’agroalimentare alla salute, dalle banche e alle assicurazioni. Insomma, di fatto a tutte le filiere del made in Italy.

Nei giorni scorsi, è stata presentata al Parlamento, dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, la relazione sull’applicazione, nel 2019, della normativa dei «poteri speciali» in materia di investimenti esteri. Un po’ di storia non guasta.

Il tutto ha origine con il decreto legge del 15 marzo del 2012, firmato dal governo Monti, che rispondeva a una procedura europea di infrazione. Ma la golden share del tempo riguardava unicamente le imprese a partecipazione pubblica. La legislazione in materia ha poi subito molte modifiche, anche in conseguenza dell’aggressività di aziende e fondi sovrani di Paesi con i quali non c’era e non c’è alcuna reciprocità. Una sola operazione è stata sottoposta a veto, un’acquisizione di Altran Italia, altre sono state autorizzate con alcune prescrizioni.

L’ambiguità
L’Italia si è trovata in questi anni in una posizione fortemente ambigua. Nel febbraio del 2017, come si legge nel libro di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro (Contro il sovranismo economico, Rizzoli), l’allora ministro Carlo Calenda si fece promotore, insieme a francesi e tedeschi, di una lettera alla Commissione nella quale si chiedevano criteri più stringenti sugli investimenti esteri, specie cinesi. Il conseguente regolamento europeo, due anni dopo, particolarmente attento a scoprire stabilimenti di comodo all’interno dell’Unione, ebbe l’astensione di italiani e inglesi. E Roma si accingeva a sottoscrivere con Pechino la Belt and road initiative, che così bene ha fatto al commercio internazionale delle arance siciliane.

Oggi la normativa sulla golden power è estesa, con le modifiche della scorsa primavera, anche alle operazioni intra Ue, seppure in via transitoria: aspetto che potrebbe portare a una pronuncia della Corte di Giustizia europea. Una simile disposizione c’è in Francia, non in Spagna. In Germania è limitata al settore difesa. Ogni investimento estero azionario superiore al 10 per cento è soggetto ad autorizzazione preventiva. Ma la lente governativa non risparmia anche operazioni, in settori sensibili, di soggetti del tutto nazionali. Dalla relazione Fraccaro si scopre che le notifiche, quasi sempre non superiori a poche decine, sono cresciute negli ultimi tempi. A fine 2020, si stima, dovrebbero essere non lontane da 300. Una parte non irrilevante di queste relative all’ulteriore campo dei contratti sul 5G. Veti? Nessuno.

Né particolari prescrizioni predisposte dall’ufficio di coordinamento, costituito a Palazzo Chigi, e composto anche da rappresentanti dei ministeri interessati. Intanto, dando solo uno sguardo distratto al settore dei trasporti marittimi, cinesi e turchi sbarcavano nel porto di Taranto.

Partecipando martedì scorso a un webinar di Mergermarket, organizzato dallo Studio Chiomenti, il segretario generale della Presidenza del Consiglio, Roberto Chieppa, ha assicurato che entro la fine dell’anno sarà presentato un nuovo Dpcm che dovrebbe rispondere a molti dei dubbi interpretativi, in particolare sull’ambito delle attività critiche o strategiche. Sul versante del 5G, poi, molti problemi applicativi dovrebbero risolversi con la definizione del perimetro di sicurezza cibernetica.

Le differenze
Chieppa ha sottolineato il fatto che sugli atti del golden power, a differenza di quello che accade in regimi di common law, gli interessati possano sempre rivolgersi a un giudice amministrativo. Ma, come ha notato il giurista Giulio Napolitano, ordinario di Diritto amministrativo nell’Università di Roma e partner dello Studio Chiomenti, i provvedimenti non sono pubblici, nemmeno per estratto. «E questo impedisce la formazione di una giurisprudenza, inoltre non vi è, come in Francia, una interlocuzione preventiva e dunque assistiamo a una crescita quasi patologica di notifiche diciamo così precauzionali». Insomma, nell’incertezza applicativa — che riguarda anche l’Unione europea, molto vaga sulla definizione delle infrastrutture e delle tecnologie critiche — si notifica un po’ di tutto. Al punto che una notifica è stata fatta anche per l’Opas di Intesa Sanpaolo su Ubi. Il rischio reale è quello della torsione dirigista di uno strumento meramente amministrativo di tutela della sicurezza nazionale. «Un modo improprio — spiega Saravalle, docente di Diritto europeo all’Università di Padova — di fare politica industriale e condizionare l’investitore straniero in base talora a criteri che con l’economia, la bontà dei piani industriali, nulla hanno a che vedere».

Significativo che, a un certo punto, qualcuno abbia pensato di cambiare la normativa per sottoporre a golden power anche l’investimento di Leonardo Del Vecchio in Mediobanca. Un ex Martinitt milanese che mette soldi nell’istituzione più prestigiosa della sua città. Un pericolo? E perché Delfin, la sua finanziaria lussemburghese, avrebbe potuto attentare agli interessi del Paese più di una qualsiasi scatola finanziaria posseduta da altri investitori, senza gli stabilimenti di Luxottica, come per esempio quelle di un altro socio di piazzetta Cuccia come Vincent Bolloré?

La farraginosità della normativa alimenta poi un mercato poco trasparente delle relazioni con il mondo politico. Ciò non contribuisce a rafforzare l’immagine già debole, agli occhi di un investitore estero, della rule of law italiana. E pone dubbi anche sulla validità effettiva dei contratti stipulati nel nostro Paese, per alcuni osservatori stranieri troppo influenzabili dalle variabili politiche, come nel caso dell’ex Ilva. Ci si chiede poi guardando al probabile epilogo della vicenda Autostrade, se non esista un improprio golden power alla rovescia, che estromette investitori nazionali (lasciamo da parte i Benetton) a favore dei soci scelti dalla Cdp, in questo caso Blackrock e Macquarie.

Un golden power con uno spettro di applicazione troppo largo e indefinito rischia di non essere uno scudo efficace per proteggere veramente attività strategiche e garantire la sicurezza nazionale. E di allontanare dall’Italia investimenti diretti di cui avremo ancora più bisogno nel momento in cui saranno visibili, in particolare su molte piccole e medie imprese, gli effetti devastanti della crisi innestata dalla pandemia.

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