di Anna Messia
L’entrata in vigore della nuova definizione di default (inadempienza), prevista per il 1° gennaio 2021 in armonizzazione con la normativa europea, rischia di avere un impatto devastante sul sistema dei crediti commerciali delle imprese, in particolare quelli ceduti attraverso il factoring, che a fine 2019 erano 255 miliardi, pari al 14% del pil nazionale. Secondo uno studio di Assifact, l’associazione delle società di factoring, con le nuove regole si dovrebbero riclassificare da un giorno all’altro come deteriorati il 25% delle esposizioni verso le imprese, il 30% delle esposizioni verso amministrazioni pubbliche centrali, il 63% delle esposizioni verso amministrazioni locali e addirittura il 94% delle esposizioni verso enti del settore sanitario, con un impatto sul sistema creditizio italiano stimabile tra 7,6 e 12 miliardi di euro in termini di nuovi non performing loans (npl). Il fenomeno è dovuto all’applicazione di soglie più basse per i tempi di pagamento e di una diversa modalità di calcolo dei giorni di scaduto prevista dalla nuove norme, con la creazione di un effetto contagio per la propagazione del default a livello di gruppo bancario, e con un rischio sistemico ad oggi difficile da quantificare ma sicuramente tale da destare serie preoccupazioni, segnalano dall’associazione presieduta da Fausto Galmarini, in particolare per le imprese di maggiori dimensioni ed elevato standing, che godono di affidamenti anche significativi da parte del sistema bancario. I risultati dell’analisi sono contenuti in una lettera invita da Assifact a Banca d’Italia e al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, oltre che ad Abi e Confindustria, nella quale si propone un’interpretazione della nuova definizione di default che tenga conto delle peculiarità del factoring e dei crediti commerciali sottostanti. «Il factoring», scrive Galmarini, «rappresenta una soluzione finanziaria con un modesto rischio di credito e con un livello di sofferenze, rilevato dalla stessa Banca d’Italia, significativamente inferiore rispetto ai prestiti bancari. La nuova disciplina innova significativamente l’attuale metodologia, prevedendo soglie più basse e soprattutto una diversa modalità di calcolo dei giorni di scaduto, fortemente penalizzante per le esposizioni basate su diverse scadenze ripetute nel tempo, quale è il caso delle esposizioni originate da crediti commerciali acquistati».

Galmarini illustra lo studio dell’associazione condotto tra società di factoring, banche e intermediari finanziari che stima, appunto tra 7,6 e 12 miliardi la massa di nuovi npl in conseguenza della nuova definizione di default. «Tale impatto», sottolinea nella lettera, «rifletterebbe il mero cambio nell’approccio regolamentare e non un reale deterioramento del merito di credito dei debitori ceduti, incidendo negativamente e senza ragioni sostanziali sugli enormi sforzi del sistema bancario italiano di ridurre l’ammontare complessivo di npl. La disciplina in questione non appare infatti adattarsi al caso specifico dei crediti commerciali oggetto di operazioni di factoring essendo stata concepita e realizzata per il caso dei crediti bancari in cui l’obbligazione di pagamento è incondizionata». Alle istituzioni Assifact propone per il factoring un quadro interpretativo che eviti, per la pubblica amministrazione e per le imprese, che «prenda avvio il conteggio dei giorni di scaduto, sfruttando appropriatamente i meccanismi già previsti dalle linee guida Eba in materia di rischio di diluizione» e che tenga conto «del principio generale secondo cui per la classificazione occorre la continuità dello scaduto su una singola obbligazione creditizia per oltre 90 giorni». Ma proprio di recente Banca d’Italia si è espressa con un orientamento che non ha accolto la proposta di Assifact. (riproduzione riservata)

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