Appalti, al committente l’obbligo dei contributi per 10 anni
di Daniele Cirioli

Giro di vite sulla responsabilità solidale negli appalti. Il committente, che ha dovuto erogare al posto dell’appaltatore le paghe da questi dovute ai lavoratori, resta obbligato al versamento dei contributi all’Inps, su dette paghe, per 10 anni (cioè nel termine di prescrizione ordinaria). In tal caso, cioè, non si applica il termine previsto dalla responsabilità solidale altrimenti l’Inps sarebbe vincolato a richiedere i contributi entro due anni dalla fine dall’appalto, pena la decadenza. Lo precisa, tra l’altro, l’ispettorato nazionale del lavoro nella nota n. 9943/2019, a risposta di un quesito dell’ispettorato regionale di Bologna, traducendo in istruzioni il recente orientamento della giurisprudenza (Cassazione sentenze n. 8662/2019; n. 13650/2019; n. 18004/2019; n. 22110/2019).

La responsabilità solidale
Lo speciale regime di solidarietà lega il committente con l’appaltatore e subappaltatori, in caso di appalti di opere e/o servizi, alla responsabilità del pagamento di retribuzioni e contributi ai lavoratori occupati nell’appalto. Disciplinato dal comma 2, dell’art. 29 del dlgs n. 276/2003, il regime ha una durata prestabilita di due anni dalla cessazione dell’appalto: entro tale termine, è possibile chiamare in causa il committente, al posto dell’appaltatore/subappaltatore inadempiente, per il soddisfacimento di debiti retributivi e contributivi. La ratio della norma, spiega l’Inl, è quella di garantire il pagamento del corrispettivo e dei contributi previdenziali dovuti, consentendo a lavoratori ed enti previdenziali di esperire azione diretta nei confronti di un soggetto terzo, il committente, che di fatto ha beneficiato della prestazione lavorativa nell’ambito della quale questi crediti sono maturati.
Che cosa dice la giurisprudenza
Recentemente, spiega l’Inl, la Cassazione ha affermato che il termine di decadenza di due anni, fissato dal regime di responsabilità solidale, si applica esclusivamente all’azione esperita dal lavoratore. Una conclusione che è dedotta considerando che i due rapporti, quello di lavoro e quello previdenziale, per quanto connessi, sono tra loro distinti, perché l’obbligazione contributiva facente capo all’Inps, a differenza di quella retributiva, derivando dalla legge ha natura pubblicistica ed è, pertanto, indisponibile. La Cassazione evidenzia che l’applicazione estensiva del termine di decadenza porterebbe all’effetto contrario rispetto a quello perseguito (tutela lavoratori), in quanto renderebbe possibile che «alla corresponsione di una retribuzione a seguito dell’azione tempestivamente proposta dal lavoratore, non possa seguire il soddisfacimento anche dell’obbligo contributivo solo perché l’ente previdenziale non ha azionato la propria pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto». In tal caso, si avrebbe una riduzione della protezione del lavoratore che, invece, l’art. 29 ha voluto potenziare. In conclusione, l’Inl fa proprio il principio della Corte di cassazione in virtù del quale il termine di decadenza di due anni dell’art. 29 riguarda esclusivamente l’esercizio dell’azione nei confronti del responsabile solidale (committente) da parte del lavoratore, al fine specifico del soddisfacimento dei crediti retributivi e non è applicabile, invece, all’azione promossa dagli enti previdenziali per il soddisfacimento della pretesa contributiva. Quest’ultima resta soggetta alla sola prescrizione decennale o quinquennale ordinaria (ex art. 3, comma 9, della legge n. 335/1995).
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