Cassazione: non spetta al professionista l’onere di portare prove a carico della struttura

L’ospedale tenuto a dimostrare l’esclusiva imputazione
di Federico Unnia

La struttura sanitaria che agisce in giudizio per esercitare l’azione di regresso, ovvero facendo valere nei suoi confronti la manleva del professionista sanitario proprio collaboratore, deve dimostrare che la responsabilità del danno causato al paziente sia pianamente ed esclusivamente imputabile al professionista in via esclusiva, non spettando a quest’ultimo per contro l’onere di dimostrare che vi sono profili di responsabilità anche a carico della struttura.
È questo l’importante principio stabilito recentemente dalla Corte di cassazione civile sez. VI con l’ordinanza (n. 24167/2019). L’ordinanza assume una grande importanza a seguito dell’entrata in vigore della legge. n. 24/2017, in forza della quale la struttura sanitaria è chiamata spesso a farsi carico degli oneri risarcitori nei confronti dei pazienti e dei loro familiari che contestino di aver subito un danno a causa di una prestazione medico sanitaria ritenuta non riuscita.
In questo contesto, tuttavia, si possono configurare strumenti giuridici grazie ai quali è possibile esercitare la c.d. «azione di regresso» e/o il meccanismo c.d. di «manleva» che consente a una struttura che abbia dovuto corrispondere un risarcimento a un paziente, in ragione dell’inadempimento di un proprio collaboratore, di agire per il recupero quanto corrisposto.
Il caso deciso dalla cassazione riguardava una paziente che, fattasi operare con esito infausto, per l’inserimento di una protesi all’anca presso una struttura privata, aveva promosso un’azione legale contro questa per vedersi riconosciuto il risarcimento del danno subito. La struttura convenuta aveva proposto di allargare il contraddittorio processuale chiamando in causa anche il professionista che aveva materialmente eseguito l’intervento, chiedendo di essere tenuta manlevata da quest’ultimo
Il tribunale di primo grado aveva accolto la domanda risarcitoria, condannando però in solido tanto struttura quanto professionista a rifondere il danno, omettendo però ogni riferimento e decisione sulla domanda di manleva formulata dalla struttura. Questa proponeva appello, chiedendo che il professionista venisse riconosciuto responsabile e come tale pagasse direttamente la paziente quanto a questa dovuto in ragione della sentenza di primo grado.
Il Giudice d’appello accoglieva la domanda, affermando il principio secondo il quale «laddove fosse stato accertato – come in effetti era stato fatto in primo grado – che la causa dell’inadempimento era da imputarsi esclusivamente al medico, nulla ostava circa la possibilità che quest’ultimo fosse condannato a pagare direttamente quanto dovuto alla paziente, non avendo, viceversa, il professionista fornito prova degli eventuali profili di responsabilità ascrivibili alla struttura sanitaria».
Ora, la Corte di cassazione, investita del ricorso da parte del professionista ha ribaltato il giudizio d’appello, cassando la sentenza impugnata e affermando il principio che «Laddove la struttura sanitaria, evocata in giudizio dal paziente che (…) si è sottoposto a un intervento chirurgico all’interno della struttura stessa, sostenga che l’esclusiva responsabilità dell’accaduto non è imputabile a sue mancanze tecnico-organizzative ma esclusivamente alla imperizia del chirurgo che ha eseguito l’operazione, (…) chiedendo di essere tenuta indenne di quanto eventualmente fosse condannata a pagare nei confronti della danneggiata e in regresso nei confronti del chirurgo (…), è sul soggetto che agisce in regresso che grava l’onere di provare l’esclusiva responsabilità dell’altro soggetto. Non rientra, invece, nell’onere probatorio de chiamato individuare precise cause di responsabilità della clinica (…)».
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