Dal 2021 si andrà in pensione più tardi. Per adesso l’aumento è minimo, un solo mese. Ma per chi oggi ha 30 anni, l’uscita dal mondo del lavoro potrebbe arrivare sette mesi dopo il 72° compleanno: significa oltre cinque anni e mezzo di attività in più rispetto ai requisiti previsti dalla normativa vigente. Tutto dipende dall’evoluzione delle aspettative di vita. Se aumenteranno poco, lo stesso 30 enne riceverà il primo assegno dell’Inps a 68 anni e 7 mesi. Equivarrebbe, comunque, a 19 mesi in più di «fatica», rispetto a chi matura i requisiti oggi. Le stime portano la firma di Progetica, società indipendente di consulenza in educazione e pianificazione finanziaria, assicurativa e previdenziale e mettono nero su bianco, in cifre, quello che è un principio incontrovertibile: se viviamo sempre più a lungo, dovremo giocoforza ritardare l’uscita dal mondo del lavoro. Non ci sono alternative se si vuole tenere sotto controllo il bilancio dello Stato alla voce pensioni, che già incide per circa un terzo della spesa pubblica.
La traiettoria di lungo termine è destinata perciò a penalizzare soprattutto le nuove generazioni, che potranno godersi il buen retiro più tardi, essendo statisticamente le più longeve. I giovani, almeno in teoria, hanno più tempo per attrezzarsi e costruire un (indispensabile) piano finanziario per il futuro, in grado di integrare la magra pensione del regime contributivo (vedi articolo nella pagina a fianco).
Che cosa cambia
Intanto l’unica certezza (o quasi) è che nel 2021 e nel 2022 i requisiti per la pensione di vecchiaia slitteranno di un mese. La stima di Progetica parte dai dati rilasciati a fine ottobre sull’aumento delle speranze di vita a 65 anni nel nostro Paese. Vale la pena ricordare che, dopo gli scatti effettuati nel 2016 e nel 2019, le regole prevedono un adeguamento ogni due anni, agganciato all’aumento della longevità, da quantificare tramite apposito decreto, che sarà emanato entro fine anno. «Da un punto di vista tecnico, le regole per il calcolo sono state modificate dalla legge di Bilancio 2018», ricorda Andrea Carbone, partner di Progetica. Se per l’incremento del 2019 è bastato fare la differenza su base triennale dell’aspettativa di vita a 65 anni di età (20,7 anni -20,3 anni), per il prossimo rialzo il meccanismo sarà più complesso: bisognerà prima calcolare la media della speranza di vita tra 2018 e 2017 (20,8 anni) e poi applicare la differenza rispetto al dato del 2016 (20,7). Il risultato è 0,1, che tradotto significa un mese. Questo incremento riguarda solo le prestazioni previdenziali che utilizzano l’età anagrafica come requisito: la pensione di vecchiaia, che sale a 67 anni e un mese, e la pensione anticipata contributiva, in aumento a 64 anni e un mese: una possibilità, quest’ultima riservata ai lavoratori con almeno 20 anni di contributi, che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996, a condizione che la pensione valga almeno 2,8 volte l’assegno sociale (circa 1.300 euro lordi). Lo scatto di un mese non ricadrà invece sulla pensione anticipata ordinaria, che consente di lasciare il lavoro prima del raggiungimento dei requisiti di vecchiaia purché si sia raggiunta una determinata anzianità contributiva. «La riforma dello scorso marzo ha congelato fino al 2026 l’adeguamento dei requisiti di pensione anticipata, con un costo di 18 miliardi in 10 anni», calcola Carbone. Il riferimento in questo caso rimangono 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, un anno in meno per le donne.
Futuro incerto
Un mese non è in ogni caso un dramma. Chi deve fare bene i conti sono piuttosto i giovani, che più beneficeranno dell’aumento della longevità e quindi saranno chiamati a prolungare maggiormente la permanenza al lavoro. Così, ad esempio, per un sessantenne l’età della pensione potrebbe oscillare tra i 67 anni e 4 mesi e i 67 anni e 11 mesi — a seconda che le aspettative di vita aumentino poco (scenario Istat previsionale basso) o molto (in questo caso Progetica ha utilizzato la media storica degli ultimi 50 anni). Al contrario, per un 20enne le proiezioni legate ai due scenari implicano una forbice molto ampia, di oltre cinque anni: in base all’evoluzione della longevità nei prossimi decenni, un ragazzo nato nel 1999 potrà andare in pensione a 69 anni e un mese — nella migliore delle ipotesi — oppure a 74 anni e due mesi, nella peggiore.
Un discorso analogo vale per la pensione anticipata: chi ha iniziato a lavorare nel 1979, maturerà i requisiti nel 2021 o 2022, con 42 anni e 10 mesi di contributi. Una giovane donna che ha appena fatto il proprio ingresso nel mondo del lavoro, invece, potrà andare in pensione anticipata con 43 anni e cinque mesi di contributi solo se le aspettative di vita aumentano poco: nel caso opposto, saranno richiesti quattro anni e due mesi in più di lavoro.

Firenze, Treviso o Urbino: qui si allunga la vita

Vuoi vivere di più ? Secondo l’Istat non è necessario sottoporsi a diete o a cure particolari, ma bisogna semplicemente scegliere bene dove andare ad abitare. In questo modo si può guadagnare oltre un anno di longevità in più rispetto alla media nazionale. Le recenti statistiche sulla speranza di vita degli italiani nel 2018 consentono di stilare una classifica età per età a seconda della provincia. Complessivamente, ad ogni età, se per le donne è il Triveneto a garantire la maggiore longevità, per i maschi è l’Italia Centrale: Firenze, Prato, Pesaro e Urbino, Rimini e Ravenna. Uniche eccezioni fuori zona sono Monza e Brianza, Treviso e Trento. Se si guarda all’età della pensione, si scopre che i sessantacinquenni più longevi risiedono a Pesaro e Urbino, con un’attesa di vita di 85 anni. Per le donne invece bisogna spostarsi a Pordenone, dove la speranza di vita a 65 anni sale a 88,3 anni. Nei casi migliori la pensione dura mediamente più di 20 anni: un periodo che merita attenzioni ed un’opportuna pianificazione.
Analizzando nel dettaglio i dati Istat si scopre che il neonato più longevo d’Italia è nato nel 2018 a Firenze, con un’attesa di vita di 82,1 anni, superiore di oltre un anno rispetto alla media nazionale di 80,9. Per le bimbe invece bisogna spostarsi a Treviso, dove la speranza di vita alla nascita è di 86,3 anni, rispetto alla media di 85,2. Per il mondo femminile le province vincenti ad ogni età sono Treviso, Trento, Bolzano e Pordenone. Le uniche eccezioni fuori dal Triveneto sono Rimini, Prato e Oristano. A proposito: scorrendo la classifica completa può sorprendere la minor presenza della Sardegna; per trovare una sua provincia in testa alla classifica bisogna aspettare i 90 anni per gli uomini, con Nuoro e gli 85 anni per le donne, con Cagliari. E i centenari ? Nel 2018 la maggiore attesa di vita a 100 anni si è registrata ad Avellino per gli uomini e a La Spezia per le donne. Sarebbe bello conoscere i motivi di questa variabilità geografica, ma purtroppo non ci sono ad oggi teorie convincenti. Questa prevalenza di Italia Centrale per gli uomini e Triveneto per le donne si potrebbe in qualche modo legare alla qualità della vita, intesa sia a livello economico che psicologico. Ma sono solo intuizioni che ad oggi non sono suffragate da studi certi.
Di sicuro la speranza di vita nel nostro Paese, seppur con qualche rallentamento, continua a crescere, e con essa aumenta l’età pensionabile necessaria per mantenere il sistema previdenziale in equilibrio. Senza dimenticare che a livello europeo e mondiale siamo nei primi posti per quanto riguarda la longevità, ma lo siamo anche nella classifica del numero di anni vissuti in non buone condizioni di salute. Vivere sempre più a lungo porta con sé, inevitabilmente, la necessità di cure e di assistenza. Un altro buon motivo per fermarsi a riflettere sulla propria vita e a pianificare per quanto possibile desideri, progetti e necessità presenti e future.
Andrea Carbone
partner Progetica

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