Lo scopo della battaglia su Mediobanca è ridisegnare gli assetti di controllo del Leone e stringere un’intesa internazionale. Senza mettere in discussione il ruolo di Donnet, ma aprendo un confronto sulla nomina di un direttore generale
di Luca Gualtieri

La battaglia di Mediobanca è iniziata su uno snodo apparentemente marginale del potere finanziario italiano. Lo strappo tra Leonardo Del Vecchio e gli eredi di Enrico Cuccia si è aperto infatti nel cda di quello Ieo (Istituto Europeo di Oncologia) che, fondato nel 1994 da Umberto Veronesi con il convinto appoggio dello gnomo di via Filodrammatici, è partecipato oggi da alcune delle maggiori istituzioni finanziarie italiane. Marginale insomma per la city milanese lo Ieo è solo in termini toponomastici, tanto più che alla presidenza siede un fedele alleato di Mediobanca come Carlo Cimbri. Ma quella partita ha avuto anche un altro protagonista. In Jean Pierre Mustier il presidente di EssilorLuxottica ha trovato infatti un solido alleato e il sospetto che l’asse avesse obiettivi più ampi, compresa la pianificazione di un assedio a Mediobanca , ha ronzato per mesi nella testa di molti osservatori. Prove nessuna, indizi diversi, come l’insoddisfazione per gli assetti di governance della merchant che Mustier non ha mai nascosto ai suoi collaboratori. Certo è che con l’uscita da Piazzetta Cuccia nei giorni scorsi il banchiere francese si è rapidamente sottratto ai riflettori, rispedendo al mittente come conspiracy theories le ricostruzioni circolate negli ultimi mesi.
Spetterà forse alla Consob disperderle completamente. Ma se lo Ieo è stato il primo terreno di scontro e Piazzetta Cuccia è oggi il cuore della battaglia, in pochi dubitano che l’obiettivo strategico dell’intero conflitto siano le Generali . Non a caso sin da fine 2018 l’asse Milano-Trieste ha iniziato a surriscaldarsi. Il primo segnale è stato il rapido rafforzamento di Del Vecchio e di Francesco Gaetano Caltagirone nell’azionariato del Leone: complessivamente i due imprenditori hanno rastrellato circa il 10% del capitale, portandosi a un soffio dal 13% di Mediobanca . Un rafforzamento che nella primavera scorsa ha reso assai acceso il confronto sul nuovo presidente spingendo qualcuno a ipotizzare una ridistribuzione dei pesi nella lista di maggioranza. Il secondo segnale di tensione sono stati alcuni riflessi della partita Ieo. Si mormora infatti che a luglio il presidente Gabriele Galateri abbia caldeggiato l’idea di cedere a Del Vecchio la quota che Generali detiene nel polo ospedaliero milanese. Un’ipotesi che, sebbene abortita, avrebbe alimentato ulteriori attriti tra le fazioni in campo.
Ma è dopo il blitz su Mediobanca che la morsa di Del Vecchio su Trieste ha iniziato a stringersi. Già a ottobre infatti l’imprenditore di Agordo avrebbe avviato discussioni con altri soci privati per ragionare su alcune iniziative, come l’introduzione di un direttore generale responsabile dei costi e della finanza e nominato dal cda.
Da tempo Del Vecchio vorrebbe vedere nella strategia un salto di qualità che consenta a Generali di competere alla pari con giganti europei come Allianz (93,4 miliardi di capitalizzazione), Axa (61,3 miliardi) o Zurich (58,5 miliardi). Un progetto cui Delfin non farebbe mancare munizioni in caso di aumento di capitale. Che cosa ne pensano gli altri azionisti? A Caltagirone , che come Del Vecchio ha incrementato notevolmente la quota nell’ultimo anno, un cambio di passo su governance e strategia non dispiacerebbe nella misura in cui creasse valore per i soci. Più sfumata la posizione dei Benetton (attestati al 4%), che prima dell’estate avevano meditato una dismissione della quota per poi rimettere l’ipotesi nel cassetto. Anche il gruppo De Agostini (oggi all’1,7% e vicino al ceo di Mediobanca Alberto Nagel) non sembra incline all’attivismo, ma l’approccio potrebbe cambiare in un contesto diverso da quello attuale. Se insomma il confronto tra gli azionisti è in corso, la leadership di Philippe Donnet non è in discussione. Non solo perché l’ultimo business plan è stato approvato appena un anno fa, ma anche perché i risultati economici registrati finora hanno incontrato l’approvazione del mercato come dimostra l’andamento positivo del titolo Generali (+33,43% nell’ultimo anno). Difficile insomma fare le pulci al capo azienda.
Certo è che gli obiettivi di Del Vecchio sono di ampio respiro. Il nuovo corso che l’imprenditore ha in mente non riguarderebbe soltanto governance e strategia, ma anche le alleanze internazionali della compagnia. Le carte per il momento rimangono coperte, ma molti indizi portano alla Francia. Non solo perché rumor su un interesse di Axa per Generali si rincorrono da molti anni, ma anche perché i legami tra Del Vecchio e Parigi sono consolidati. Transalpini sono infatti gran parte dei business dell’imprenditore, da quelli immobiliari (ex Foncière des Régions) a EssilorLuxottica , il gruppo nato lo scorso anno dalla fusione tra i due colossi dell’occhialeria, senza contare i buoni servigi resi da Natixis sulla partita Mediobanca . Tanti indizi fanno una prova? Non è detto, ma certamente un’offerta generosa sul Leone ingolosirebbe gli azionisti, grandi e piccoli, con buona pace dell’italianità. Ecco perché negli ultimi giorni i movimenti di Del Vecchio in Generali sono finiti nel radar di regolatori, policy maker e grandi banche. Molto attenta alla partita sarebbe ad esempio Intesa Sanpaolo, anche se per il momento il ceo Carlo Messina si esprime con la massima cautela: «Una accresciuta capitalizzazione è la miglior difesa per il ceo di Mediobanca e indirettamente anche per Generali », ha tagliato corto venerdì 8 gennaio. Si vedrà se la banca milanese resterà testimone della partita o se, di fronte a un profondo rimescolamento degli equilibri sull’asse Milano-Trieste, sceglierà di uscire allo scoperto. (riproduzione riservata)

Il Paperone italiano vale 24 miliardi. In rosso solo l’aereo e il resort
Leonardo Del Vecchio continua ad accumulare potere e patrimonio. Dopo Mediobanca la sua fortuna cresce ancora. E la holding Delfin si arricchisce. Anche se ci sono perdite a Trieste e in Lussemburgo
di Andrea Montanari

L’impero è sempre più grande Il portafoglio di partecipazioni sempre più ampio. Il tesoretto sul quale è seduto si incrementa di giorno in giorno. Anche perché molto spesso, e ultimamente il ritmo è aumentato, parte della ricchezza viene reinvestita per rafforzare la rete di relazioni e il peso nello scacchiere industriale, strategico e politico italiano. Leonardo Del Vecchio è, come noto, il Paperone nazionale.
Ora, dopo l’ingresso non certo in punta di piedi nell’azionariato di Mediobanca con il 10% (la quota vale 928 milioni), il patrimonio personale ha superato la soglia dei 24 miliardi. La parte del leone la fa la partecipazione di riferimento (32,74%) nel capitale del colosso mondiale dell’occhialeria italo-francese EssilorLuxottica che pesa per 19,3 miliardi. Sfiora i 2 miliardi, 1,98 miliardi, la quota (22,5%) del big immobiliare transalpino Covivio (nato dall’incorporazione dell’italiana Beni Stabili nella capogruppo Foncière des Régions).
Sul terzo gradino del podio dell’industriale milanese classe 1935, c’è il 4,86% detenuto nelle Generali che vale 1,46 miliardi. Chiude il pokerissimo di partecipazioni, il 2% di Unicredit (563 milioni). A questo giardinetto si è aggiunto il blitz non capitale del general contractor Salini Impregilo (nel capitale figura anche Cdp), impegnato in Progetto Italia per integrare Astaldi (vedere articolo a pagina 21) e altri player del settore quali Pizzarotti e Rizzani De Eccher (fuori dal perimetro resta Trevi ). Anche se va detto che ora il focus di mr Luxottica è sul consolidamento di Generali .
Al di fuori degli investimenti industriali e finanziari, soddisfazioni arrivano da Dfr Investment che gestisce partecipazioni per 754 milioni e che nel 2018 ha prodotto un utile di 33 milioni. Mentre, in questo ricchissimo orticello, spiccano due note dolonti, seppure di modesta entità. In Lussemburgo perde soldi, 7,84 milioni, la società Vast Gain Ltd che gestisce l’aeromobile di proprietà, costato 50 milioni (ora ammortizzato a 43,6 milioni). Mentre in Italia, qualche grattacapo lo crea il resort e il porticciolo turistico da 546 ormeggi di San Rocco, a Muggia (Trieste): lo scorso anno a fronte di ricavi per 3,27 milioni, la perdita ammontava a 4,97 milioni.
A gestire le fortune della famiglia Del Vecchio – oltre a patron Leonardo figurano i sei figli avuti da tre relazioni sentimentali differenti – c’è il fidato manager Romolo Bardin. A lui sono state affidate le chiavi di Delfin, la cassaforte che a fine 2018 aveva asset in portafoglio per un ammontare totale di 9,6 miliardi e che aveva prodotto utili per 331 milioni, grazie a dividendi incassati per 427 milioni. Gestione positiva che ha permesso alla holding di distribuire un dividendo di 110 milioni (era di 60 milioni l’anno precedente) al fondatore di Luxottica e ai suoi eredi: i sei figli hanno quote paritetiche del 12,5%, mentre la moglie Nicoletta Zampillo, risposta nel 2010, madre di Leonardo Maria (e già compagnia di vita di Leonardo senior dal 1997 al 2000).
E se da anni il vero dominus delle attività industriali, nonchè fidato e ascoltato consigliere, è quel Francesco Milleri che guida Luxottica Italia e che puntava a gestire tutto il gruppo Essilux, dopo aver messo nel mirino l’Istituto Europeo di Oncologia (la Fondazione Del Vecchio è il secondo azionista, con il 18,45%, alle spalle di quella Mediobanca che ora l’ex Martinitt sta in qualche modo scalando), il futuro di Delfin sarà da scrivere visto che, come accade nelle grandi famiglie patriarcali, il clima tra i vari rami della famiglia non è mai stato improntato alla grande armonia. Anche se Zampillo (ha il 25% che equivale alla sua porzione di legittima dell’asse ereditario), assieme a Leonardo Maria (12,5%) potrà fare la voce grossa al momento del passaggio di consegne ereditario. (riproduzione riservata)
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