L’ape merita il rilancio Solo l’anticipo pensionistico di tipo social ha trovato spazio per un posticipo nella legge di bilancio. Ma anche le altre versioni hanno un ruolo chiave
di Carlo Giuro

Tra i tentativi effettuati per ammorbidire le rigide regole sui tempi necessari per la pensione, anche per favorire il turnover generazionale cercando di non impattare in maniera eccessiva sui conti pubblici, quello dell’Anticipo pensionistico (Ape) potrebbe avere un rilancio. Tra le diverse declinazioni della flessibilità (Ape volontario, aziendale e sociale) già in Legge di Bilancio si prevede un intervento sull’Ape sociale, la cui sperimentazione viene prorogata di un anno rispetto a fine 2019. Rimane fermo l’impianto con una un’indennità a carico dello Stato erogata dall’Inps a chi maturi il requisito di età (63 anni) tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2020 e rientri in una delle categorie previste (disoccupati che da almeno tre mesi abbiano esaurito la prestazione per disoccupazione, lavoratori che assistono da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado con disabilità grave, lavoratori affetti da riduzione della capacità lavorativa almeno pari al 74%, lavoratori che da almeno sei degli ultimi sette anni di lavoro svolgono in maniera continuativa professioni difficoltose e rischiose (sono 15). Agli appartenenti alle prime tre categorie è richiesta un’anzianità contributiva di 30 anni, che sale a 36 per la quarta. L’indennità è pari all’importo della rata mensile di pensione calcolata al momento dell’accesso alla prestazione (se inferiore a 1.500 euro) o pari a 1.500 euro (se la pensione è pari o maggiore). L’Ape sociale è compatibile con altri redditi da lavoro autonomo fino a 4.800 euro l’anno e da lavoratore dipendente fino a 8 mila euro l’anno.
L’Ape sociale, opportunamente rivista è poi altamente papabile di diventare una possibile soluzione di exit strategy alla conclusione sperimentazione triennale di quota 100. Verrà poi presa in considerazione, nell’ambito del tavolo di concertazione tra Governo e sindacati sul tema pensioni, la possibilità di una “ripresa” anche dell’Ape volontaria e dell’Ape aziendale considerando che non impattano sui vincoli di finanza pubblica (entrambe scadono a fine 2019). Nel primo caso si tratta infatti di un prestito teso ad accompagnare il lavoratore con un «reddito ponte» fino al raggiungimento dei requisiti di pensionamento di vecchiaia, prestito che verrà restituito nei 20 anni successivi alla quiescenza con una decurtazione dell’assegno di pensione. Possono usufruire dell’Ape volontaria i dipendenti, privati e pubblici, autonomi e parasubordinati che abbiano almeno 63 anni di età, maturino il diritto a pensione di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi e siano in possesso di almeno 20 anni di contribuzione. Non bisogna essere titolari di trattamento pensionistico diretto mentre non è necessario cessare il lavoro. L’Ape aziendale è poi un’Ape volontaria i cui costi sono a carico dell’azienda in caso di esuberi o ristrutturazioni. (riproduzione riservata)

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