L’orientamento degli ermellini: i consiglieri non esecutivi devono impedire gli illeciti
Dolo eventuale senza la delega: scatta la bancarotta
Pagina a cura di Dario Ferrara

Scatta la bancarotta fraudolenta anche per il consigliere non esecutivo perché non impedisce gli atti di distrazione compiuti dal presidente del cda nella società poi fallita. Per l’amministratore senza deleghe, infatti, vale lo schema del dolo eventuale: accetta il rischio che si verifichi l’illecito laddove non coglie segnali inequivocabili come le dimissioni rassegnate dai sindaci. Il tutto mentre il collegio denuncia che l’asserito ripianamento delle perdite è soltanto sulla carta. Lo stabilisce la Cassazione con la sentenza 45134/19, pubblicata dalla quinta sezione penale.

Il caso. Confermate le condanne agli imputati: devono essere rideterminate solo le pene accessorie dopo la sentenza costituzionale 222/18 che prevede la valutazione discrezionale del giudice. La bancarotta fraudolenta si configura per la distrazione di risorse finanziarie e aziendali verso società riconducibili al nuovo presidente: operazioni non giustificate sul piano economico come l’affitto del ramo d’azienda, composto da una trentina di punti vendita al dettaglio, rimasto senza corrispettivo. Fra i responsabili c’è anche l’ex amministratore entrato nel nuovo board senza incarichi operativi. E ciò non soltanto perché una parte delle condotte si consuma quando l’interessato è ancora al timone. Contano gli indici di fraudolenza, che sussistono quando il fatto che genera lo squilibrio tra attività e passività va oltre i canoni di ragionevolezza imprenditoriale; pesano le cointeressenze dei vertici con altre imprese coinvolte.
È irrilevante, nella specie, che a chiedere le dimissioni dei sindaci sia la nuova proprietà. Anzi: il nuovo collegio non batte ciglio di fronte ai falsi report dei nuovi amministratori, tanto che le società falliscono. Il consigliere non esecutivo, poi, non si cura dei precedenti rilievi mossi dalla società di revisione, secondo cui mancano veri nuovi apporti. Né si scompone di fronte alle dimissioni del nuovo amministratore delegato rassegnate dopo soli sei mesi. Insomma: volontariamente non si attiva per evitare il default.

I precedenti. L’amministratore senza delega concorre nella bancarotta fraudolenta di chi ha il potere diretto di gestione della società poi fallita se non coglie i segnali d’allarme della distrazione dei beni aziendali in atto e dunque non interviene per scongiurarla: in tal caso accetta il rischio che si consumi il reato. È quanto emerge dalla sentenza 40152/18, pubblicata dalla quinta sezione penale della Cassazione.
Diventa definitiva la condanna inflitta non soltanto all’amministratore ma anche al consigliere di amministrazione della società a responsabilità limitata. Va detto che per la srl le regole di amministrazione ex articolo 2475 cc non operano distinzioni fra la figura del presidente e quella dei consiglieri e richiamano la disciplina dettata dagli articoli 2257 e 2258 cc. E dunque il mero consigliere che deduce di non avere un diretto potere deve indicare le previsioni ad hoc dell’atto costitutivo della società. Ma anche applicando la disciplina degli amministratori non operativi il risultato non cambia. L’amministratore senza delega concorre nella bancarotta fraudolenta per non aver impedito la distrazione dei beni della società poi fallita non soltanto laddove è a conoscenza della condotta ma anche quando di fronte a evidenze inequivocabili manca di attivarsi per evitare che il reato sia compiuto. E nel nostro caso il consigliere risulta addirittura partecipe alle cessioni dei due immobili fin dalla fase delle trattative.
Non solo. Chi siede nel cda ma resta inerte va incontro a grossi guai anche sul fronte civile. Il consigliere non esecutivo della società per azioni rischia di rispondere in solido dell’illecito altrui se non fa ciò che può per impedire fatti dannosi per la compagine o ridurne le conseguenze negative. A patto che ne sia a conoscenza, ovviamente. Ma il membro del board non può lamentare di essere tenuto all’oscuro di tutto dai manager operativi: chi non ha deleghe ben può chiedere spiegazioni agli organi deputati sulla gestione della società. E il dovere di agire informato previsto dal codice civile in capo all’amministratore è particolarmente stringente nel cda delle banche. È quanto si legge nella sentenza 8237/19, pubblicata dalla seconda sezione civile della Cassazione, che ha bocciato il ricorso dei consiglieri di amministrazione. Inutile invocare la riforma del diritto societario, che pure ha alleggerito la posizione degli amministratori privi di deleghe, sostituendo l’agire informato alla vigilanza sull’andamento generale della gestione. Il che nella specie sarebbe mancato a causa dell’atteggiamento di presidente e direttore generale della società, che tenevano per loro le informazioni più importanti sugli affari economici. Il punto è che l’articolo 2381, terzo comma, cc anche dopo la riforma consente al consigliere di impartire direttive agli organi delegati. E chi ha la delega può avocare a sé operazioni inerenti. Il consigliere non esecutivo, comunque, deve valutare l’andamento generale della gestione sulla base delle relazioni dei delegati e chiedere informazioni agli interessati.
Nelle banche, poi, la responsabilità aumenta perché gli interessi dei risparmiatori hanno rilevanza pubblicistica. E il dovere di agire informati dei componenti del cda senza delega non è limitato alle segnalazioni provenienti dagli informatori: anche loro devono esprimere un’adeguata conoscenza del business bancario e contribuire alla gestione efficace dell’istituto.
Non basta. Scatta la sanzione di Bankitalia anche per il consigliere di amministrazione senza delega benché l’operazione rivelatasi illecita sia stata gestita dal presidente del cda e dal direttore generale. E ciò perché nelle società per azioni il grado di diligenza richiesta agli amministratori è commisurato alla natura dell’incarico che svolgono. È quanto emerge dalla sentenza 32135/18, depositata dalla seconda sezione civile della Cassazione che rende definitiva la sanzione di 129 mila euro inflitta dalla Vigilanza al componente del cda. L’illecito contestato riguarda un’operazione da risiko bancario in cui l’istituto si finanzia con bond convertibili in azioni ordinarie per acquisirne un altro, ma nel farlo nasconde a Palazzo Koch importanti garanzie che cambiano il volto al complesso meccanismo. Non conta che il destinatario della «megamulta» sia in prima persona estraneo alla vicenda perché il consigliere non esecutivo è tenuto comunque ad attivarsi in modo da poter esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compite dagli organi esecutivi: il flusso informativo deve essere continuo e investire ogni settore della banca. D’altronde chi siede nel cda partecipa alle decisioni sugli orientamenti strategici e le politiche di gestione del rischio da parte dell’intermediario finanziario. In ogni società per azioni, comunque, ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati informazioni sulla gestione e risponde in solido se viene a conoscenza di fatti pregiudizievoli e nulla fa per impedirne il compimento o attenuarne le conseguenze.
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