Nei paesi più industrializzati, il tasso di natalità è in calo dalla fine del Settanta, ma il declino demografico del nostro Paese continua a destare preoccupazione. Secondo i dati comunicati dall’Istat, nel 2018 sono stati iscritti all’anagrafe 439.747 bambini, oltre 18 mila in meno rispetto alle nascite registrate nel 2017.

L’Istat sottolinea come si tratti di “una tendenza negativa che non evidenzia segnali di inversione” e afferma che nell’arco degli ultimi dieci anni, le nascite sono diminuite di 136.912 unità, quasi un quarto (il 24% in meno) rispetto al 2008. Un calo attribuibile esclusivamente alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani (343.169 nel 2018, quasi 140 mila in meno negli ultimi dieci anni).

Si tratta di un fenomeno in parte dovuto agli effetti “strutturali” indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda (convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni). L’Istat spiega che le cosiddette baby-boomers (donne nate tra il 1965 e il 1975) stanno uscendo dalla fase riproduttiva (o si stanno avviando a concluderla), mentre le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti.

Queste ultime scontano, infatti, l’effetto del cosiddetto “baby-bust”, cioè la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995. A partire dagli anni duemila l’apporto dell’immigrazione, con l’ingresso di popolazione giovane, ha parzialmente contenuto gli effetti del baby-bust; tuttavia questo effetto sta lentamente perdendo la propria efficacia man mano che invecchia anche il profilo per età della popolazione straniera residente.

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