di Angelo De Mattia

Un caso specifico, all’apparenza non dirompente, che, tuttavia, può essere illuminante dei modi in cui spesso si sviluppa il rapporto tra amministratore delegato, consiglio e «proprietà». Difficile parlare di un «test», ma certamente di un evento sì, in parte paradigmatico. Si tratta della vicenda che ha riguardato Albero Minali, a.d. della Cattolica. L’intervento di Warren Buffett, socio della Cattolica con circa il 9 per cento del capitale, per manifestare la non condivisione del ritiro, da parte del consiglio di amministrazione, delle deleghe a suo tempo conferite a Minali fa salire non solo l’interesse per la vicenda, ma anche il grado di potenziali tensioni. Il ritiro delle deleghe a un amministratore che è entrato nella carica da pochissimo tempo non è un atto di normale amministrazione. Secondo le cronache, a Minali sarebbe contestato il presunto intento di promuovere la trasformazione del modello cooperativo in una Spa, come si ricaverebbe dallo stesso comunicato della Cattolica che fa riferimento, attraverso l’impiego di una terminologia astratta (verosimilmente intesa a non traumatizzare l’accaduto, anche se esso traumatico lo è di per sé) a non concordanti visioni sullo sviluppo dell’impresa assicurativa. L’interessenza di Buffett, che rappresenta un notevole valore aggiunto e dà un’immagine di internazionalità all’impresa in questione, viene offuscata da una decisione consiliare che ha costretto l’oracolo di Omaha a esprimere il proprio dissenso. Chi voglia costruire scenari di fantapolitica e strumentalmente trasformare Buffett in un predatore che dagli Usa non avrebbe altro da fare che pensare alla Cattolica e ad agire di conserva con questo e quello potrà trovare un appiglio nell’intervento. Ma sarà di corto respiro, utile a dirottare l’attenzione dalla mancanza fin qui di una completa chiarezza informativa sulle ragioni alla base dell’estromissione di un personaggio qual è Minali, noto per la sua alta competenza e non comune esperienza, in una con il rigore nel governo di un’impresa, ragioni che in rapporto alla misura adottata dovrebbero essere solide per riscuotere una loro plausibilità. In mancanza di ciò, possono essere alimentate, magari andando fuori strada, le più diverse supposizioni, con contrapposti schieramenti, che involgono linee strategiche e operative dell’istituto, quali, per esempio, l’assunzione di partecipazioni in una banca (si era parlato di Ubi), modifiche statutarie, governance e modello societario. Sono in corso nell’impresa assicurativa discussioni e confronti al riguardo? Se fosse fondata l’idea della trasformazione in spa, di essa si parla liberamente, in un salutare, franco rapporto dialettico senza adombrare idola fori? Sussiste, non in maniera generica, ma su misure specifiche una distinzione di Minali, il quale, comunque, avrebbe deciso di rimanere nel cda, anche se privo delle deleghe? Insomma, su questo caso, anche per l’importanza, il ruolo e le tradizioni della Cattolica, sarebbe importante, innanzitutto nel superiore interesse dell’impresa assicurativa, poter disporre di maggiori elementi informativi, pur nel rispetto di una fisiologica riservatezza. Nessuno può essere a priori colpevolizzato, da una parte e dall’altra, chi adotta una misura e chi la subisce, ma trasparenza e accountability sono fondamentali. I provvedimenti possono essere giusti o sbagliati, ma la visibilità concorre frequentemente a evitare equivoci e false interpretazioni. D’altro canto, è agevolmente immaginabile che l’Ivass sia impegnata, come accade in questi casi, in un’attenta opera di monitoraggio, alla quale, a seconda dei risultati, possono seguire o no specifiche decisioni. (riproduzione riservata)
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