La seconda giornata di Icaih 2019. Ecco come l’intelligenza artificiale aiuta la sanità
L’IA estrae valore dai dati online pure se sembrano inutili
di Andrea Secchi

Tracce digitali, numerose e lasciate in continuazione in seguito all’interazione con Internet, con i dispositivi mobile, con quelli indossabili. Tracce seminate in maniera inconsapevole ma sempre in grado di rivelare molto più di quanto si immagini e oggi utilizzate per predire il diffondersi di virus, analizzare i comportamenti a rischio, per facilitare le diagnosi grazie ad analisi su larga scala.
Lo sanno bene, per esempio, i ricercatori della Keele University di Newcastle, nel Regno Unito, che hanno realizzato uno studio sul comportamento dei bambini affetti da autismo per individuare i casi limite, in cui la diagnosi è difficile. La fonte delle loro ricerche? Migliaia di video di bambini su YouTube, analizzati con un sistema di intelligenza artificiale istruito per valutare i minimi movimenti del corpo e trovare schemi comuni che serviranno per velocizzare diagnosi con l’ausilio anche solo di un’app.

Il caso è stato citato ieri da Daniela Paolotti, research leader della Fondazione Isi, l’Istituto per l’Interscambio Scientifico di cui è presidente lo scienziato Mario Rasetti, che ha tenuto il keynote della seconda giornata di Icaih 2019, la prima conferenza industriale su intelligenza artificiale e salute al Palazzo Pirelli di Milano (si vedano gli altri articoli). Ma questo è solo uno degli esempi riportati dalla ricercatrice in cui le «tracce digitali» sono utilizzate per scopi sanitari grazie all’intelligenza artificiale. C’è il progetto americano HealthMap, che raccoglie da fonti online informali dati con i quali costruire mappe di alert per la diffusione di influenze e di altre malattie e che, a settembre, ha lanciato per primo l’allarme sui problemi provocati dalle sigarette elettroniche negli Usa. Poi c’è lo studio di Microsoft che in seguito all’analisi delle ricerche sui motori ha messo a punto un algoritmo di predizione per la diagnosi di una forma grave di cancro.
Fra gli altri sono da citare soprattutto i lavori dello stesso Isi, come quello che ha permesso di predire la diffusione del virus Zika in Colombia analizzando, in collaborazione con Telefonica, i dati dei telefonini rivelatori degli spostamenti delle persone. O ancora la previsione, con 3/4 mesi in anticipo, della diffusione della pandemia H1N1 nell’emisfero nord qualche anno fa. Alla base ci sono modelli che somigliano a quelli delle previsioni del tempo, in grado di dare informazioni che i sistemi sanitari pubblici possono utilizzare per prendere provvedimenti o per valutare se quanto già fatto sarà efficace.
Non mancano però i problemi, ha sottolineato Paolotti, che riguardano una raccolta di dati non basata su campioni scelti a tavolino e quindi potenzialmente distorsivi.
Spesso, però, si è dimostrato che comunque questi sistemi offrono risultati non ottenibili con i metodi tradizionali, grazie all’abbondanza dei dati. Semmai sono le questioni etiche che portano le sfide maggiori: nel caso dei video analizzati su YouTube, per esempio, i protagonisti erano consapevoli di far parte di una ricerca?
Per non parlare del fatto che le fonti dei dati sono le grandi piattaforme online, insieme con le telco, aziende private.
«Qualcosa si muove in questo campo», ha detto Paolotti, «io faccio parte di un comitato dell’Organizzazione mondiale della sanità che sta scrivendo linee guida su artificial intelligence and ethics. Quello che serve è anche un’interazione con i big del web che sono visti come evil (il diavolo, ndr) dalle istituzioni pubbliche.
Da parte loro c’è la disponibilità a rendere pubblici o a condividere alcuni dati. Sappiamo che il loro business è basato sui dati, quantomeno è importante che le persone ne traggano beneficio grazie al fatto che i sistemi sanitari possono utilizzarli a vantaggio della loro salute».
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