Quota 100: cui prodest? La domanda non è affatto così scontata per una serie di fattori. In primo luogo, pare non ne gioveranno, particolarmente, gli stessi beneficiari, che dovrebbero subire un decurtamento proporzionale alla quota di anticipo di ritiro lavorativo: l’eventuale anticipo di due anni, con uscita nel 2019 quota 100 a 65 anni rispetto ai 67 della pensione di vecchiaia prevista nel 2021, determinerebbe una decurtazione dell’assegno di pensione del 10,79%, del 17,20% rispetto all’uscita del 2022, del 24,15% del 2023, del 29,53 del 2024 e del 34,17% del 2025. Quindi, in teoria, godendo a pieno del nuovo meccanismo di pensione anticipata a 62 anni con 38 di contributi, il lavoratore intascherebbe un terzo in meno della sua pensione futura.
Non la fiscalità generale, a causa della cospicuità dell’onere della manovra sulle casse pubbliche; probabilmente neppure le imprese, che vedranno dragarsi importanti elementi produttivi e know-how aziendale.

A questo proposito l’ufficio parlamentare di bilancio ha previsto che saranno circa 437 mila i possibili quotisti (divisi quasi perfettamente a metà tra coloro che potrebbero percepire un assegno a calcolo misto e quelli che otterranno una pensione calcolata solo con il sistema retributivo) che, sommati ai richiedenti di pensioni di vecchiaia e altri tipi di anticipi, potrebbero arrivare a sfondare il tetto dei 620 mila pensionati.
Ovviamente, non tutti i possibili beneficiari abbracceranno la misura, ma è comunque previsto un nuovo record storico della spesa pensionistica per assegni di anzianità.
Da ciò ne consegue che, della Quota 100 non ne beneficeranno, soprattutto, i giovani e le future generazioni, i quali, con ogni probabilità, saranno gli involontari detentori dell’onere del costo del provvedimento.

Il Fondo monetario internazionale ha già avvertito che l’impatto sulla crescita dell’Italia, generato dalle misure di stimolo previste dal governo, sarebbe incerto nei prossimi due anni, e, probabilmente, negativo nel medio periodo, qualora i differenziali Btp/Bund permanessero su livelli elevati. Sempre secondo il Fmi la riforma prevista della legge Fornero incrementerebbe notevolmente la spesa pensionistica, gravando ancora di più sulle generazioni più giovani, facendo al contempo precipitare i tassi di occupazione tra i lavoratori più «maturi».
«Ma la cosa realmente preoccupante è che si continui a sostenere l’improvvido sillogismo secondo cui, l’esodo di futuri pensionati libererebbe posti di lavoro utili ad abbattere la nostra quota di disoccupazione giovanile», rileva il presidente Cnai Orazio Di Renzo, «Nello specifico, appare oscura la relazione tra l’obiettivo di aumentare il tasso di occupazione giovanile e l’incremento del numero di pensionati. Logica ed esperienza ci dicono che quando un’economia è in salute non c’è bisogno di far uscire un lavoratore sperando che venga sostituito da uno più giovane: le economie vivaci trovano lavoro per tutti, indipendentemente dall’età e dal genere. E poi, per fronteggiare la disoccupazione giovanile, la ricetta efficace è piuttosto semplice, quasi banale: bisogna abbassare le tasse sul lavoro».

Nonostante i proclami politici, in tema di merito e giustizia sociale, piuttosto che prevedere manovre di incentivo all’occupazione incentrate, appunto, su merito e produttività, sembra si sia deciso di sposare un orientamento basato su interventi pubblici di tipo, più o meno strettamente, assistenziale.
«Gravando in tal maniera sulle casse pubbliche la quota 100, di fatto, inibisce qualsiasi possibilità di future politiche per la crescita, caratterizzandosi quindi esclusivamente come costo, piuttosto che come investimento per il rilancio dell’economia e dell’occupazione», chiarisce il presidente Di Renzo.

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