I risultati degli Osservatori Entrepreneurship & Finance della School of Management PoliMi

Pagine a cura di Roxy Tomasicchio

Nonostante la finanza alternativa sia una grande opportunità per le pmi, in Italia solo 1.800 imprese (l’1% circa sul totale di chi ne avrebbe possibilità), nel 2017-2018, si sono affidate a strumenti diversi dal credito bancario quali mini-bond (51% del mercato), private equity e venture capital (22%) e invoice trading, lo strumento più utilizzato in assoluto. Ancora minoritari ma in crescita il crowdfunding (dall’1 al 3%) e le ico, initial coin offer (dall’1 al 2%), marginale il direct lending (dallo 0,2 allo 0,6%).

I numeri sono frutto del Quaderno di ricerca «La finanza alternativa per le Pmi in Italia» degli Osservatori Entrepreneurship & Finance della School of Management del Politecnico di Milano.
Stando ai dati dell’indagine, aggiornati al 30 giugno, i mini-bond, cioè i titoli di debito come obbligazioni e cambiali finanziarie, si sono imposti come il primo canale alternativo col 51% del mercato (contro il 28% del periodo 2008-2018), generando 1,840 miliardi di finanziamenti, oltre la metà dei flussi generati dal 2008 in poi. Le imprese emittenti sono state 221 (36 delle quali si sono affacciate sul mercato per la prima volta quest’anno), per un valore di 3,545 miliardi di euro suddivisi in 335 emissioni. Partito in sordina, in contemporanea ai mini-bond, ha poi fatto registrare un buon tasso di crescita: è il crowdfunding, trainato dall’estensione a tutte le pmi di questa opportunità, inizialmente riservata a startup e pmi innovative, e che consiste nella possibilità di raccogliere capitale su portali Internet, rivolgendosi direttamente alla «folla» di internauti, nelle varie forme ammesse (reward, lending, equity). Fino al 30 giugno 2018 erano 214 le aziende italiane che hanno provato a raccogliere capitale di rischio sul web, tramite l’equity, assicurandosi attraverso 134 campagne chiuse con successo investimenti pari a 33,3 milioni di euro. Ma l’ultimo biennio ha visto una crescita anche dei prestiti erogati alle pmi dalle piattaforme di lending, costituite, anche in questo caso, da una pluralità di prestatori privati (piccoli risparmiatori o investitori istituzionali). Su 60,3 milioni di euro prestati a circa 250 pmi italiane (escludendo le ditte individuali), 53,9 sono stati concessi nel periodo compreso fra il 1° gennaio 2017 e il 30 giugno 2018. Completa il quadro il reward-based crowdfunding, cioè campagne di piccolo importo che le imprese italiane in fase di avvio hanno condotto per raccogliere denaro offrendo in cambio prodotti e ricompense non monetarie. La ricerca ha stimato in 7 milioni di euro i finanziamenti raccolti.

Non trascurabili (anzi) i risultati messi a segno dall’invoice trading, che consiste nella cessione di una fattura commerciale in cambio di un anticipo in denaro attraverso una piattaforma on-line. Adottato da 900 pmi, cresciuto dal 5 al 16%, è stato in grado di generare finanziamenti quasi pari a quelli dell’ultimo decennio (580,8 milioni di euro su 612,2), divenendo il terzo segmento del mercato. In coda il direct lending (credito fornito da soggetti non bancari attraverso prestiti diretti), con un numero marginale di pmi che hanno ottenuto un prestito da fondi specializzati, per un importo intorno ai 20 milioni. Mentre è aumentato l’interesse verso le criptovalute e la tecnologia blockchain, tanto che molti imprenditori si sono lanciati nel mercato delle Initial coin offerings (Icos), che raccolgono capitali su internet offrendo in sottoscrizione token digitali e disintermediando completamente piattaforme terze e circuiti di pagamento tradizionali. La ricerca ha censito 16 ico promosse entro giugno da team costituiti per più del 50% da italiani, per un totale di 150 milioni di euro, di cui circa 80 riconducibili a pmi italiane già esistenti o di nuova costituzione.

Ultimo settore analizzato sono gli investimenti effettuati da soggetti professionali nel campo del private equity e del venture capital, che sottoscrivono capitale di rischio di imprese non quotate per contribuire alla loro crescita per poi ottenere una plusvalenza al momento dell’uscita (la cosiddetta exit). Persa la prima posizione, passando dal 59% del mercato nel periodo 2008-2018 all’attuale 22%, il mercato italiano del private equity e del venture capital è anche sotto-dimensionato rispetto alla situazione di Regno Unito, Germania, Francia (si veda altro servizio nella pagina seguente).
Considerando soltanto le operazioni di early stage e di expansion, dal 2008 al giugno 2018 sono state mobilizzate risorse in Italia per 970 milioni di euro nell’early stage e 6,5 miliardi nell’expansion. Negli ultimi 18 mesi, invece, i flussi sono stati pari a 229 milioni per la prima voce (su 213 progetti) e di 568 per la seconda (per 69 aziende).
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