Circa 12 milioni di italiani rinunciano o rinviano le cure
di Gaetano Belloni

La spesa sanitaria privata degli italiani continua a crescere. Nel 2016 è arrivata a 37,3 miliardi di euro ed è sostenuta in grandissima parte direttamente dalle famiglie. Nell’ultimo anno 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie (1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente): il recupero di sostenibilità dei servizi sanitari regionali non è stato indolore.

E le liste d’attesa sono sempre più lunghe. Sono solo alcuni dei dati che emergono dal VII Rapporto Rbm-Censis sulla sanità pubblica, privata e intermediata, presentato in occasione del Welfare Day 2017.

Dal canto suo, la spesa sanitaria pubblica italiana in rapporto al Pil è inferiore a quella di altri grandi paesi europei. Se nel nostro paese è pari al 6,8% del prodotto interno lordo, in Francia sale all’8,6% e in Germania tocca il 9%.

Le difficoltà di accesso al sistema pubblico sono aumentate. I dati indicano che per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa arriva in media a 142 giorni. Per una colonscopia l’attesa media è di 93 giorni, ma al Centro di giorni ne occorrono mediamente 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni, ma al Sud sono necessari 111 giorni. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni, ma l’attesa sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni, ma ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni, con un picco di 77 giorni al Sud.

Il Rapporto sciorina altri dati preoccupanti. Per esempio, è in forte crescita anche la mobilità sanitaria che è passata da un costo di 3,9 miliardi nel 2015 a quota 4,3 miliardi nel 2016 e che riguarda tra i 6 e gli 8 milioni di cosiddetti «pendolari della sanità». Ciò spiega il perché la spesa sanitaria privata continua a crescere, sforando quest’anno quota 35 miliardi: una «tassa» aggiuntiva che grava sulla nostra salute, oggi pesa per circa 580 euro pro capite, e che di qui a 10 anni potrebbe superare i 1.000 euro pro capite, pena il crack finanziario del Ssn o ulteriori tagli alle prestazioni sanitarie. I dati del VII Rapporto Rbm – Censis sulla Sanità in Italia, presentati in occasione del 7° Welfare Day, del resto, parlano chiaro: nel 2016 il Ssn ha «espulso» oltre 13,5 milioni di persone (il 22,3% degli italiani – quota salita vertiginosamente dal 2006 quando i non assistiti erano il 7,8%), che hanno dovuto rinunciare alle cure (9 milioni per motivi economici), con una riduzione nell’ultimo decennio della sua capacità assistenziale dal 92 al 77% della popolazione e della sua funzione redistributiva del 15%.

In questo contesto, cresce l’attenzione verso la sanità integrativa, che potrebbe mettere in moto risorse pari a 15 miliardi di euro l’anno, come confermato anche dalle proiezioni di Rbm, che ha presentato alle istituzioni due progetti. «Innanzitutto un «secondo pilastro sanitario complementare» per tutti i cittadini, sul modello francese», spiega Marco Vecchietti, consigliere delegato di Rbm Assicurazione Salute, «che, evitando di far pagare di tasca propria le cure a 36 milioni di italiani, intermedi collettivamente la spesa sanitaria privata garantendo al sistema sanitario la disponibilità di 22 miliardi di euro/annui aggiuntivi e un contenimento della spesa sanitaria privata da 8,7 miliardi di euro a 4,3 miliardi annui». Il secondo progetto riguarda l’esternalizzazione di alcune assistenze, che «promuova un’assunzione di responsabilità per i cittadini con redditi più alti (15 milioni) mediante l’assicurazione privata della totalità delle loro cure sanitarie con un risparmio previsto spesa sanitaria pubblica dai 18,5 miliardi di euro a 3,1 miliardi annui da investire a favore dei cittadini più bisognosi». L’obiettivo è salvare il sistema sanitario da un default che non sembra più solo un’ipotesi.
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