In presenza di soci, irrilevante la sopravvenienza emersa
Pagina a cura di Fabrizio G. Poggiani

Tassata la sopravvenienza derivante dalla rinuncia all’incasso del trattamento di fine mandato (Tfm) eseguita dagli amministratori non soci, mentre per questi ultimi non scatta il principio del cosiddetto «incasso giuridico» e, quindi, gli stessi non saranno assoggettati ad alcuna imposizione diretta. Doppio binario, pertanto, per la tassazione della rinuncia all’indennità degli amministratori indicata, giacché, in presenza di amministratori soci, la rinuncia rende irrilevante, ai fini fiscali, la sopravvenienza emersa in capo al soggetto collettivo.

Così l’Agenzia delle entrate che, con la recente risoluzione n. 124/E dello scorso 13 ottobre, ha risposto a un preciso interpello, avente a oggetto un argomento così spinoso come la rinuncia al trattamento di fine mandato (Tfm) da parte degli amministratori, rientrante nell’ambito di applicazione del comma 4-bis, dell’art. 88, dpr 917/1986 (Tuir).

L’argomento, in effetti, presenta, da sempre, profili estremamente complicati, sia con riferimento alla società che procede con l’accantonamento, sia per gli amministratori che rinunciano alle somme accantonate a loro favore.

Quindi, con una precisa istanza, il legale rappresentante di una società a responsabilità limitata ha fatto presente di essere una società gestita da un consiglio di amministrazione composto da quattro amministratori, di cui due soci e due non soci, e che, nel corso del tempo, per lo stesso organo amministrativo, la stessa aveva provveduto ad accantonare, con delibera ad hoc, ai sensi dell’art. 2364 c.c., un importo a titolo di trattamento di fine mandato (Tfm) pari al 10% del compenso lordo percepito dagli amministratori.

Nell’ambito di una cessione di quote, i quattro amministratori, nel 2016, aveva rinunciato al pagamento dell’indennità accantonata e, quindi, era nato il problema di conoscere, più precisamente e dopo le recenti modifiche introdotte da dlgs 147/2015, con l’introduzione del comma 4-bis, nell’art. 88 del Tuir, il relativo trattamento tributario, sia in capo alla società sia in capo ai soci, posta l’iscrizione di una sopravvenienza attiva in contabilità.

L’Agenzia delle entrate, preliminarmente, ha evidenziato che, in linea di principio, il comma 4-bis, dell’art. 88 richiamato, recentemente inserito a cura del cosiddetto «Decreto internazionalizzazione», dispone che la rinuncia ai soci dei crediti deve essere considerata una sopravvenienza attiva, per la parte che eccede il relativo valore fiscale e che, a tal fine, il socio deve comunicare il valore fiscale alla società; in assenza di detta attestazione, il valore fiscale deve essere assunto come pari «a zero». Viene inoltre ricordato che, per effetto del rinvio alla lettera c), comma 1, dell’art. 17 del Tuir, la deducibilità dell’accantonamento è condizionata dalla presenza di un «atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto» (Agenzia delle entrate, risoluzione n. 211/E/2008) e che, in caso di assenza di tale atto, la deduzione del costo deve avvenire nell’anno di effettiva erogazione dell’indennità.

Per esempio, seguendo la stretta interpretazione delle Entrate, in presenza di un accantonamento complessivo di 40 mila euro eseguito in 20 anni, e in assenza di documento avente data certa anteriore, negli anni di accantonamento (quote di euro 2 mila annue) la società non avrebbe potuto dedurre alcunché, dovendo effettuare una variazione fiscale in aumento ogni anno (per euro 2 mila), potendo abbattere il reddito imponibile (fiscalmente) nell’anno di erogazione per l’intero importo accantonato.

Posti questi indirizzi, l’Agenzia delle entrate evidenzia che l’eccedenza, rispetto al valore fiscale assunto, costituisce per il debitore una sopravvenienza attiva imponibile, a prescindere dal trattamento tributario adottato ma, soprattutto, precisa che l’irrilevanza fiscale della rinuncia e della relativa sopravvenienza è dovuta, essenzialmente, alla volontà del socio di aumentare il patrimonio sociale (risoluzioni 41/E/2001 e 152/E/2002).

Quindi, nel caso in esame, in presenza di rinuncia dell’indennità di fine mandato da parte di un componente dell’organo amministrativo socio (amministratore-socio), la società non deve procedere a tassare la sopravvenienza, giacché non si riscontra alcuna differenza fiscale tra il valore dei crediti rinunciati e il relativo valore nominale e, pertanto, non è richiesta la citata comunicazione del valore fiscale.

Al contrario, nel caso in cui la rinuncia riguardi un amministratore non socio, stante il fatto che la rinuncia trova causa nell’animus donandi o nella remissione del debito da parte di soggetto estraneo alla compagine societaria, la sopravvenienza attiva dovrà essere tassata in capo alla società partecipata, ai sensi del comma 1, dell’art. 88 del Tuir, naturalmente nei limiti delle quote accantonate e dedotte.

Resta il fatto, però, come sancito anche dalla Suprema corte (tra le altre, Cassazione, sentenza n. 26842/2014 e ordinanza n. 1335/2016) che in caso di rinuncia da parte dell’amministratore-socio, i crediti rinunciati devono essere considerati «giuridicamente» incassati e, quindi, dovranno essere assoggettati a tassazione in capo ai soci persone fisiche non imprenditori, con conseguente obbligo di esecuzione della ritenuta alla fonte da parte della società.

Per gli amministratori non soci, invece, in assenza di una contropartita e non potendo incrementare il valore della partecipazione, non si rende applicabile il principio dell’incasso giuridico appena enunciato e, quindi, gli stessi non subiranno alcuna imposizione fiscale.

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