Conti a rischio. Manovra, coperture incerte
Pagina a cura di Francesco Cerisano

Nessun passo indietro sulla riforma delle pensioni. L’adeguamento dell’età pensionabile alle aspettative di vita è uno dei pilastri su cui poggia la sostenibilità delle finanze pubbliche. E per questo non può essere messo in discussione perché significherebbe minare quel sottile equilibrio che «assicura una dinamica della spesa gestibile nonostante l’invecchiamento della popolazione».

Il monito arriva dal vice direttore generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, in audizione al senato sulla legge di Bilancio. Ma sulla stessa lunghezza d’onda sono anche Corte dei conti e Ufficio parlamentare di bilancio (Upb). Tutti convinti che il governo non debba cedere alle pressioni dei sindacati sulla rottamazione dei meccanismi di adeguamento previsti dalla riforma Fornero. «Per tutelare gli equilibri di fondo della finanza pubblica, gli interventi a margine del sistema pensionistico devono essere disegnati in maniera tale da limitare la platea dei destinatari alle situazioni di effettivo disagio», ha sottolineato il presidente della Corte dei conti, Arturo Martucci di Scarfizzi.

Un altro aspetto della Manovra che mette tutti d’accordo sono le misure di lotta all’evasione. Apprezzabili, condivisibili, ma rischiose perché una quota rilevante delle coperture della legge di Bilancio si fonda proprio sugli ipotetici incassi di quanto verrà racimolato dalle misure di recupero di gettito per il 2018 e gli anni successivi. «Nel 2018», ha ricordato Signorini, «le entrate derivanti da contrasto all’evasione e recupero di gettito sono meno di un quinto del totale delle coperture; la quota è molto più elevata nel biennio successivo (circa la metà nel 2019, il 35% nel 2020). Per il 2018 quasi metà delle risorse cosi’ recuperate deriva da misure temporanee, in particolare dall’estensione della procedura di definizione agevolata dei carichi pregressi della riscossione (0,9 miliardi nelle valutazioni ufficiali)». Contrario alla rottamazione delle cartelle anche l’Upb secondo cui si tratta di un condono fiscale che «premia i contribuenti meno meritevoli».

Contratti pubblici. Lo stanziamento di risorse considerevoli per il rinnovo dei contratti pubblici (300 milioni per il 2016, 900 per il 2017 e 2, 850 miliardi dal 2018) viene giudicato positivamente da via Nazionale che però auspica che la nuova stagione di contrattazione costituisca «l’occasione per introdurre forme di incentivazione e di progressione in carriera utili per rilanciare l’efficacia e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni». Un appello rilanciato anche dal numero uno della Corte conti secondo cui «sussistono i presupposti affinché parte delle maggiori disponibilità stanziate nel disegno di legge di Bilancio venga utilizzata per incrementare le componenti accessorie della retribuzione del pubblico impiego e, in particolare, quelle destinate a premiare il merito e a incentivare miglioramenti nella produttività delle amministrazioni».

Un duplice appello, quello di Bankitalia e Corte conti che ha subito rincuorato i sindacati. «Siamo d’accordo con l’auspicio di Signorini», ha dichiarato il segretario confederale della Uil, Antonio Focillo, «ed è per questo che continuiamo a sostenere che il contratto deve essere innovativo e, quindi, non solo sui contenuti economici, ma soprattutto su quelli normativi.».

Comuni. E sempre sul rinnovo dei contratti pubblici è intervenuto il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, che in audizione sulla Manovra ha nuovamente chiesto più risorse per i comuni, visto che «è impensabile», ha detto, «che il maggior costo del rinnovo del contratto sia interamente lasciato a carico degli enti locali».

«La rigidità delle regole finanziarie che gli enti locali devono rispettare per la copertura dei maggiori oneri, unitamente all’entità degli aumenti (intorno a 650 milioni di euro per tutti gli enti locali) rischiano di vanificare i risultati faticosamente raggiunti con il parziale sblocco del turnover, a fronte di un calo senza precedenti, quasi il 14% in sei anni, degli organici per i comuni, molto di più per province e città metropolitane», ha osservato il sindaco di Bari. Per questo l’Anci ha chiesto l’istituzione di un Fondo a carico dello Stato per coprire gli oneri dei rinnovi contrattuali e la possibilità di utilizzare gli accantonamenti pregressi ai fini del saldo di competenza corrente.

Nel documento con le proposte emendative sulla Manovra, consegnato in commissione al senato, l’Associazione dei comuni ha anche chiesto interventi di semplificazione fiscale. Il clou è rappresentato dall’abolizione della Tasi con inclusione del relativo gettito nell’Imu. «Questo intervento», spiegano i sindaci, «potrebbe essere anche l’occasione per una razionalizzazione delle aliquote differenziate, con notevoli benefici in termini di semplificazione degli adempimenti a carico dei cittadini». L’Anci ha anche chiesto la stabilizzazione del «fondo Imu-Tasi essenziale per i bilanci di molti enti (circa 1.800 beneficiari)» che «continua ad essere assegnato anno per anno» e l’incremento da 900 milioni a 1,2 miliardi degli spazi finanziari messi a disposizione dei comuni per gli investimenti.

Province. A chiedere più risorse sono anche le province, più vive che mai (almeno dal punto di vista istituzionale dopo la vittoria del No al referendum che avrebbe dovuto cancellarle dalla Costituzione) ma sempre più alla canna del gas dal punto di vista finanziario. «Governo e parlamento hanno la responsabilità di mettere in campo quegli interventi indispensabili per porre fine allo stato di emergenza che ha caratterizzato in questi tre anni i servizi essenziali erogati dalla province sui territori», ha osservato il presidente dell’Upi, Achille Variati. «Non si tratta di chiudere i bilanci, ma di garantire diritti essenziali dei cittadini. Per questo chiediamo 170 milioni per il 2018, 130 milioni per il 2019 e 130 milioni per il 2020, risorse per le funzioni fondamentali, necessarie per colmare lo squilibrio che è stato creato dai prelievi degli anni precedenti e tornare ad assicurare una programmazione pluriennale».
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