Pagine a cura di Daniele Cirioli

Il Tfr torna nuovamente a essere «compatibile» con la previdenza integrativa. A distanza di dieci anni dalla riforma che impose la destinazione integrale del trattamento di fine rapporto (Tfr) ai lavoratori che avessero deciso d’iscriversi a un fondo pensione, arriva la marcia indietro: chi sceglie di farsi una pensione di scorta non è più costretto a rinunciare a tutto il Tfr. Al fondo pensione, infatti, può destinarvi anche una percentuale o addirittura niente. A stabilirlo è la legge n. 124/2017 (c.d. legge annuale concorrenza), in vigore dal 29 agosto, illustrata dalla Covip che ha fornito anche le istruzioni operative. Tra le altre novità, la possibilità per i fondi pensioni di prevedere forme di pre-pensionamento, nell’ipotesi di disoccupazione superiore a 24 mesi (finora 48 mesi) con una riduzione dei requisiti ordinari fino a dieci anni (finora fino cinque).

La pensione di scorta. La previdenza complementare, non obbligatoria, nasce come forma di protezione aggiuntiva a quella del regime pubblico obbligatorio (cioè quella alla quale non si può sfuggire perché da versare per legge), rivolgendosi a tutti i lavoratori, sia dipendenti sia autonomi, sia del settore privato sia del pubblico. Fino a dieci anni fa, esattamente fino al 31 dicembre 2006, il quadro normativo era piuttosto scarno, caratterizzando la previdenza complementare, detta anche integrativa, per la natura volontaria di adesione, il regime finanziario di gestione (che è quello a capitalizzazione) e per l’utilizzo della leva fiscale per stimolarne lo sviluppo. Poi è arrivata la riforma: da gennaio 2007, cioè dieci anni fa, le cose sono cambiate, con un’operazione che, tra l’altro, ha investito di ruolo fondamentale il trattamento di fine rapporto lavoro (ovviamente per i lavoratori dipendente che hanno la fortuna di averlo). In particolare, la riforma ha introdotto una sorta di «quasi-obbligatorietà» della destinazione del Tfr, di tutto il Tfr annuale, alla previdenza integrativa al fine di una «pensione di scorta». D’allora, chi viene assunto ha l’obbligo di manifestare la sorte che intende dare al suo Tfr potendo scegliere tra due opzioni: mantenerlo come forma di retribuzione differita, cioè da intascare a fine carriera lavorativa; oppure destinarlo a un fondo pensione. Se non viene fatta alcuna scelta, il Tfr finisce investito nella previdenza integrativa: nel fondo pensione dell’azienda o del settore in cui opera l’azienda oppure, se questi fondi non esistono, a FondInps, che è un fondo pensione operativo all’Inps. Questa regola si chiama «regola del silenzio-assenso», pratica applicazione del detto «chi tace acconsente». Il lavoratore che tace, cioè acconsente Ma, acconsente a che cosa? Acconsente al trasferimento del suo Tfr nei fondi pensione. La scelta, peraltro, è definitiva cioè non più ritrattabile. La disciplina dà ai lavoratori (solo ai dipendenti, che sono i soli lavoratori con diritto al Tfr) un tempo di sei mesi per decidere sulle sorti del proprio Tfr. Due le modalità per manifestare la decisione: modalità esplicita oppure modalità tacita. La prima modalità si realizza quando il lavoratore manifesta per iscritto la decisione raggiunta circa il destino del suo Tfr; la manifestazione va resa al proprio datore di lavoro, utilizzando la modulistica ad hoc (i moduli Tfr1 e Tfr2). La modalità tacita è la pratica realizzazione della regola del silenzio-assenso; se il lavoratore resta zitto, cioè non manifesta per iscritto alcuna decisione, il destino del suo Tfr è segnato: finisce nella previdenza integrativa. Per questa modalità non si utilizza alcuna modulistica.

Pace fatta fra Tfr e pensione di scorta. Finora, dunque, è stata praticamente impossibile la convivenza fra Tfr e pensione integrativa: o l’uno o l’altra. Adesso le cose sono cambiate. La legge sulla Concorrenza, infatti, modificando l’art. 8 del dlgs n. 252/2005, stabilisce che gli accordi, anche aziendali, «possono stabilire la percentuale minima di Tfr maturando da destinare a previdenza complementare». E aggiunge che «in assenza di tale indicazione il conferimento è totale». La norma, pertanto, dà facoltà agli accordi tra lavoratori e datori di lavoro di prevedere la possibilità di investire solo una quota del Tfr, così da preservare sia la «buonuscita» e sia la costruzione di una rendita aggiuntiva alla pensione pubblica.

Le novità, in realtà, sono più di una. L’art. 1, comma 38, della legge n. 124/2017 è intervenuta infatti sui seguenti profili:

possibile destinazione non integrale del Tfr alle forme pensionistiche complementari (art. 1, comma 38, lettera a);
ampliamento delle condizioni per fruire dell’anticipo della prestazione pensionistica (art. 1, comma 38, lettera b);
modifica della disciplina dei riscatti per cause diverse (art. 1, comma 38, lettera c).
Stop al conferimento totale del Tfr. La prima novità scaturisce dalla modifica dell’art. 8, comma 2, del dlgs n. 252/2005 da parte dell’art 1, comma 38, lett. a) della legge n. 124/2017, con l’introduzione di una nuova norma: «gli accordi possono anche stabilire la percentuale minima di Tfr maturando da destinare a previdenza complementare. In assenza di tale indicazione il conferimento è totale». La nuova norma ha una portata esplosiva, rispetto all’attuale disciplina: legittima la possibilità, per le fonti istitutive dei fondi pensione, di modulare la quota di Tfr da destinare ai fondi pensione. Il che significa prevedere anche la libera facoltà, per chi aderisce alla previdenza integrativa (ma la possibilità è prevista anche per chi sia iscritto a un fondo pensione, come precisato avanti), di decidere da zero al 100% la quota da destinare al finanziamento della pensione di scorta. Se le fonti istitutive non danno indicazioni in merito, il conferimento deve intendersi al 100%, cioè come oggi. Secondo la Covip, la nuova norma consentirà alle fonti istitutive di graduare, nel modo più consono alle esigenze degli interessati, la destinazione del Tfr maturando alla previdenza complementare, tenendo conto del quadro d’insieme della contribuzione prevista e dell’esigenza di assicurare ai lavoratori un’adeguata prestazione pensionistica che vada concretamente a integrare la pensione obbligatoria. Per la Covip, tuttavia, la regola ordinaria rimane comunque quella della devoluzione integrale del Tfr maturando. La novità, dunque, è l’attribuzione alle fonti istitutive della possibilità di definire anche più quote percentuali alternative di Tfr nell’ambito delle quali la quota minima potrebbe anche essere pari a zero, rimettendo agli aderenti destinatari la scelta in ordine alla quota da versare e, in ogni caso, senza pregiudizio della facoltà dell’aderente di disporre comunque l’integrale destinazione del Tfr al fondo pensione.

Nessuna modifica al «silenzio-assenso». La novità non incide invece sul meccanismo del silenzio-assenso: l’adesione secondo modalità tacite, quindi, comporta sempre la devoluzione integrale del Tfr. Anche tali soggetti potranno tuttavia esprimere, in un momento successivo all’adesione tacita, la volontà di devolvere al fondo di appartenenza la sola quota fissata dalle fonti istitutive; tale eventuale opzione sarà esercitabile secondo le modalità definite dalle fonti istitutive (a condizione ovviamente che gli stessi optino per il versamento al fondo anche dei contributi a loro carico).

La scelta del Tfr. Con riguardo ai lavoratori dipendenti assunti dopo il 31 dicembre 2006 per i quali è prevista la compilazione del «modulo TFR 2» entro sei mesi dall’assunzione, la Covip ritiene possibile, nelle more di una revisione del predetto modulo per tener conto della novità sopravvenuta, annotare nel modulo, a integrazione della Sezione 1, l’eventuale diversa scelta di versare il Tfr maturando nella misura definita dalle fonti istitutive.

Fip, nessuna novità. La novità, infine, non riguarda gli aderenti su base individuale, i quali comunque rimangono titolari delle facoltà di versare alle forme pensionistiche complementari il Tfr in misura del 100% ovvero di non versare alcuna quota del medesimo trattamento.

Cosa cambia per i vecchi iscritti
Con riferimento ai soggetti lavoratori dipendenti iscritti alla previdenza obbligatoria in data anteriore al 29 aprile 1993, cosiddetti «vecchi iscritti alla previdenza obbligatoria», la Covip fa notare che la normativa di settore già ammetteva la presenza di accordi collettivi che consentissero, a tali lavoratori, di versare solo una quota di Tfr. Considerato tuttavia il mutato contesto di riferimento, la Covip ritiene che a coloro che, pur in presenza dei predetti accordi, abbiano destinato a previdenza complementare l’intero importo del Tfr, possa essere oggi consentito di rivedere tale scelta, così potendo optare per il versamento dei flussi futuri di Tfr in una della misura definite dagli accordi. Resta inoltre ferma la previsione relativa al ridotto versamento, limitatamente ai vecchi iscritti alla previdenza obbligatoria, del 50% del Tfr, in presenza di accordi che nulla prevedono al riguardo. Per costoro, infatti, la mancata previsione da parte degli accordi di una quota minima di Tfr non comporterà il versamento integrale del Tfr.

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