L’articolo 365 c.p. e l’articolo 331 c.p.p. puniscono chiunque, nell’esercizio della professione sanitaria, non abbia denunciato delitti perseguibili d’ufficio. Il medico, in ambito di libera professione, è obbligato infatti al referto all’autorità giudiziaria nei casi in cui abbia prestato assistenza a vittime di delitti perseguibili d’ufficio.

Di recente sono stati aperti procedimenti penali a carico di medici per omissione di referto o di denuncia in merito a lesioni gravi o gravissime in seguito a incidenti stradali: lo si apprende da una comunicazione FNOMCeO, Federazione Nazionale degli Ordini dei Medichi Chirurghi e degli Odontoiatri, indirizzata ai Presidenti dei singoli Ordini.

Tra i delitti perseguibili d’ufficio, quello con cui il medico viene più facilmente in contatto è rappresentato dalle lesioni personali gravi o gravissime per le quali il colpevole viene punito, oltre che per alcune particolari condizioni (ad esempio una lesione che abbia indotto un pericolo di vita, che abbia causato l’indebolimento o la perdita di un arto), anche per quelle che causino una malattia della durata superiore ai quaranta giorni.

Tuttavia con la legge 23 marzo 2016 n. 41, che ha introdotto il reato di omicidio stradale, è stato istituito anche il reato di lesioni personali stradali gravi o gravissime (art. 590-bis), intese quindi anche come producenti una malattia della durata superiore ai quaranta giorni a causa di un incidente stradale e in particolari condizioni come la guida in stato di ebbrezza.

L’introduzione della nuova disposizione legislativa obbliga quindi a redigere un referto o una denuncia da inoltrare alle autorità giudiziarie, pena l’avvio di un procedimento penale a suo carico, qualsiasi professionista sanitario che venga a contatto con un soggetto vittima di un incidente con lesioni la cui prognosi potrebbe superare i quaranta giorni o che abbia riportato lesioni che potrebbero potenzialmente dar luogo a postumi permanenti.

È però ovvio che anche una lesione di relativa importanza, ma che potenzialmente potrebbe dar luogo a disturbi fisici per di più di quaranta giorni, deve essere denunciata.

Se si considera che, secondo i dati Istat, solo nel 2016 in Italia sono stati registrati quasi 250mila soggetti vittime di lesioni per incidenti stradali, è chiaro che la questione assume una certa rilevanza.  

Tutto ciò ha pesanti ripercussioni sulla professione medica, sia in termini di obblighi che di diligenza nel momento in cui il professionista sanitario è chiamato a esprimere un giudizio prognostico. «Si tratta di un tema molto importante per gli aspetti medico legali», afferma Riccardo Zoja, Presidente di SIMLA, Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni, «che può costituire una rilevante difficoltà organizzativa e procedurale. Ma è evidente che non deve essere il medico che si trova ad affrontare il difficile percorso diagnostico e terapeutico nei confronti di un paziente a trovarsi in queste difficoltà». Su questo tema SIMLA intende porre l’attenzione sulla centralità della figura del medico legale: «La legge prevede infatti una classificazione del reato fondata sulla durata della malattia, ma essa può essere giudicata in termini medico legali solo a posteriori», prosegue Zoja. «Pertanto l’unico vero strumento di giudizio sulla durata della malattia è la valutazione specialistica medico-legale a conclusione dell’itinerario clinico e non il giudizio prognostico».

 

La valutazione medico-legale è dunque il solo strumento applicabile per computare la durata della malattia prevista dal codice senza rischiare di protrarre nelle indagini un inquadramento fondato su giudizi prognostici che, benché legittimi, non corrispondono a ciò che serve per applicare la legge. Il problema del resto non tocca solo la categoria medica, ma l’intero sistema giudiziario.

Oggi il medico legale ha un approccio a tutto tondo nei confronti della persona in contesti legali e assicurativi toccando ambiti come l’autopsia giudiziaria, la valutazione delle violenze personali, sessuali o di ogni altro genere, i problemi dell’identificazione personale che si sono così straordinariamente ampliati con le immigrazioni, le indagini genetiche per l’identificazione degli autori di delitti o per l’accertamento di paternità, le indagini tossicologiche per la scoperta di avvelenamenti o per l’identificazione delle droghe, gli accertamenti per la valutazione del danno a persona in ambito assicurativo privato (incidenti stradali, polizze infortuni) o pubblico (infortuni Inail), la valutazione dei casi di medical malpractice, tutte le tematiche relative all’ambito pensionistico riguardante la salute (Inps, invalidità civile). Per mezzo di perizie, consulenze tecniche di ufficio e consulenze tecniche di parte in ambito civile, amministrativo e penale, il professionista medico-legale incaricato dal tribunale diventa la “lente” del giudice in grado di fornirgli spiegazioni tecnico-scientifiche sostituendolo nella trattazione di argomenti in cui ha inevitabile carenza culturale.

 

 

L’auspicio per il futuro di SIMLA vede una maggiore collaborazione con le istituzioni: «È giunto il momento di una riforma globale della medicina legale italiana soprattutto per la sua attività in ambito penalistico, per la quale anche le istituzioni politiche debbano acquisire la sensibilità. Un tavolo pluriministeriale su questo problema è, a mio avviso, un’urgenza. Salute, Interni e Giustizia devono prendere atto che un’aderenza moderna alle esigenze collettive non può più trascurare di considerare questa importante ipotesi istituzionale in termini coordinati e collegiali. L’esperienza francese in questo campo di assunzione da parte del Ministero della giustizia e della salute di specialisti medico-legali che operano per conto del Pubblico ministero potrebbe essere un’indicazione molto importante, ma è certo che solo percorrendo una strada di confronto delle istituzioni si può sperare in un sistema realmente funzionale e stabile, omogeneamente distribuito in tutto il territorio, in termini di prevenzione e non solo di azione improvvisata quando ve ne sia la necessità».