di Filippo Buraschi e Luca Gualtieri
La fortunata iniziativa dei Pir ha creato un eccesso di domanda alimentando un serbatoio di liquidità che adesso è alla ricerca di destinazione. Uno degli obiettivi degli intermediari finanziari italiani nei prossimi mesi sarà convogliare queste risorse verso imprese meritevoli e fare così da volano alla crescita economica. Ne è convinto Mauro Micillo, responsabile della divisione Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo e amministratore delegato di Banca Imi. «Il mondo delle imprese di medie dimensioni è l’architrave dell’economia italiana e iniziative come i Pir hanno creato grande effervescenza nel settore. Nostro compito a questo punto sarà colmare il gap tra domanda e offerta e aprire il mercato dei capitali a nuove realtà».

Domanda. Micillo, come si potrebbe favorire questo bilanciamento tra domanda e offerta?
Risposta. Soprattutto avvicinando le imprese a forme di finanziamento alternative al canale bancario. Non penso tanto al large corporate, che ha da tempo diversificato i canali di funding, ma soprattutto alle medie aziende con grandi potenzialità di crescita. Non a caso in Intesa Sanpaolo la divisione Corporate & Investment Banking ha iniziato a lavorare al fianco della Banca dei Territori sulle aziende con fatturati sotto i 350 milioni. Andare oltre le canoniche segmentazioni è un modo per avvicinare molte pmi a soluzioni innovative.

D. Del resto recentemente il direttore generale di Banca d’Italia Salvatore Rossi è tornato a spronare le aziende in questa direzione. Un invito raccolto dal mondo dell’impresa?
R. Per ora il mercato del credito esprime spread ai minimi storici e quindi per le aziende il canale bancario resta il più accessibile. Ciononostante la diversificazione c’è. Oltre ai Pir vale la pena di ricordare la leva fiscale introdotta dal governo per le quotazioni. Se il mercato sarà clemente, nel 2018 ci aspettiamo un trend positivo di ipo, soprattutto tra le pmi. I private equity poi non hanno mai perso di vista il mercato italiano e continueranno a fare operazioni importanti.

D. C’è però chi vede nell’alternative lending un rischio per il sistema bancario perché favorisce lo shadow banking. Condivide questa lettura?
R. In alcuni mercati, come quello Usa, le banche sono già in forte competizione con lo shadow banking e il rischio di disintermediazione c’è. Anche perché questo eterogeneo settore non è sottoposto alla medesima pressione regolamentare delle banche tradizionali e può spesso beneficiare di un basso costo del funding.

D. Tornando alle imprese, che ruolo sta giocando l’internazionalizzazione nella ripresa economica?
R. Un ruolo centrale. Non a caso negli ultimi tre anni la divisione Corporate & Investment Banking ha aumentato la quota di business fatta all’estero, accompagnando le imprese italiane su mercati maturi ed emergenti. Su 2.900 dipendenti ne abbiamo circa 1.000 all’estero. Dopo Londra, Hong Kong e New York abbiamo aperto un quarto hub a Dubai che sta registrando risultati davvero incoraggianti. Intesa Sanpaolo è una banca pienamente riconosciuta a livello internazionale e può giocare alla pari con le altre investment bank.

D. Come viene percepita l’industria italiana all’estero in questo momento?
R. Sono stato recentemente a Washington con la delegazione di Intesa per i lavori del Fmi. In quel contesto ho registrato grande fiducia verso l’economia del nostro Paese. In questi anni l’Italia ha avuto la forza di compiere riforme importanti che stanno determinando una crescita al di sopra delle aspettative degli osservatori. Anche i segnali macroeconomici vanno in una buona direzione: gli sbilanci esterni si stanno a poco a poco assorbendo e gli investimenti diretti dall’estero danno segnali incoraggianti per la prima volta da tempo.

D. Un altro settore vivace è quello del restructuring, complici anche i problemi incontrati da molte imprese. Come procede la vostra attività in questo ambito?
R. Per noi è una delle aree più interessanti e, se mi passa il termine, appassionanti. Le ristrutturazioni ci consentono di attuare processi di turnaround che riportano sul mercato imprese con grande potenziale. Prendiamo il caso di Ntv, azienda che oggi esprime peraltro un management di livello: nei mesi scorsi ha archiviato un’operazione di rifinanziamento del debito e ora sta preparando la quotazione in Piazza Affari.

D. A guardare i vostri risultati (utili in crescita del 9% a 1,15 miliardi nei 9 mesi) sembra che l’investment banking stia beneficiando di questa fase di ripresa economica. È così?
R. Grazie anche alle politiche monetarie espansive stiamo assistendo a una crescita globale sincronizzata che non accadeva da tempo. I mercati sono ben supportati dai fondamentali, le azioni sono sui massimi e il mercato del credito esprime spread ai minimi storici. Tutti fattori di cui potremmo beneficiare in termini di operazioni. Non dobbiamo però perdere di vista l’altra faccia della medaglia, cioè la crescente competizione, la pressione regolamentare e la sfida della digitalizzazione, che dopo il segmento retail sta iniziando a interessare anche il corporate.

D. Qualche suo collega teme che una brusca inversione di tendenza nella politica monetaria possa gelare il mercato. Si aspetta qualche scherzetto dalle banche centrali?
R. Il presidente della Bce Mario Draghi è stato tanto chiaro quanto bravo nel gestire il tema. Nessun banchiere centrale del resto vuole ripetere l’errore che fece la Fed nel 2013, alimentando il caos sui mercati. Credo che le politiche monetarie saranno gestite in modo equilibrato, come è stato fatto finora. Semmai il problema delle istituzioni finanziarie rimarrà la gestione dell’immane mole di liquidità che circola sui mercati. Un problema con il quale continueremo a confrontarci nei prossimi anni. (riproduzione riservata)

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