di Antonio Lusardi
La crisi ha colpito duramente l’economia italiana dal 2011 ma, quasi a sorpresa, la ricchezza finanziaria del Paese, in linea con quella del resto del mondo, è cresciuta. Lo afferma lo studio Il Private Banking nel Mondo, dell’Associazione Italiana Private Banking (Aipb) e di Boston Consulting Group, che sarà tra i temi del 13esimo Forum del private banking che si terrà a Milano giovedì prossimo. Secondo lo studio, la ricchezza finanziaria italiana, quarta in Europa, è passata dai 4.100 miliardi di dollari del 2011 ai 4.500 miliardi dello scorso anno, ai 5.200 miliardi previsti per il 2021, con una crescita annua attesa del 2,9%. Negli stessi dieci anni, secondo le stime, la ricchezza finanziaria mondiale quasi raddoppierà: dai 101 mila miliardi di dollari del 2011 ai 192 mila del 2021. Una crescita spinta soprattutto dallo sviluppo e dalla finanziarizzazione dei mercati emergenti, Cina in testa. «Le dinamiche del passato si stanno invertendo: L’area asiatica ha raggiunto e presto supererà sia l’Europa sia l’America», spiega Fabio Innocenzi, presidente Aipb. A questa crescita corrisponde però anche una sempre maggiore polarizzazione della ricchezza: nel 2021 il 13% (+3% rispetto a oggi) sarà dei super ricchi che dispongono di oltre 50 milioni, e più della metà di quella mondiale (il 51%) sarà in mano a chi ha almeno un milione di dollari di patrimonio. L’Italia è meno esposta a questo trend e i super-ricchi detengono solo il 5% della ricchezza finanziaria, una quota che dovrebbe salire solo al 6% nel 2021. Una certa polarizzazione si verificherà anche in Italia, in prevalenza a favore dei patrimoni tra 1 e 10 milioni di euro. Proprio a questa fascia, gli High Net Worth Individuals, sono infatti riconducibili, secondo lo studio, circa il 50% delle masse gestite dal settore.

L’industria italiana si mantiene virtuosa anche nella composizione dei portafogli, non più sbilanciati come un tempo a favore di titoli di Stato e liquidità. Al 2016, degli 800 miliardi gestiti dall’industria, il 33% era investito in equity (al 32% i bond, al 35% i depositi), una cifra dovrebbe crescere fino al 36% nel 2021. La copertura del mercato potenziale da parte dell’industria del private banking in Italia è invece una moneta a due facce: se da un lato il settore ha intercettato l’86% del target potenziale, una percentuale superiore a tutto il resto del mondo, dall’altro questo presidio del mercato lascia poco spazio per crescere. Una prima via per uscire da questo rischio di impasse è rappresentato dal modello della consulenza evoluta a pagamento, ancora poco adottato in Italia. Il 50% delle masse è limitato alla consulenza base, mentre la consulenza evoluta (12%) e le gestioni patrimoniali (18%) sono inferiori ai livelli medi mondiali, del 19% e del 22%. «In Italia la redditività del settore si mantiene alta e stabile nel tempo, al di sopra della media europea», spiega Gennaro Casale, managing director di Bcg, ma il futuro è nella consulenza evoluta come motore di innovazione per l’offerta». Un’altra strada per sviluppare le attività di private banking è rappresentata, secondo la ricerca, dalla ricchezza immobiliare e dal patrimonio aziendale dei clienti, che potranno essere intercettati con un servizio dedicato. A questo si aggiungono le diversificazione in prodotti alternativi, soprattutto i fondi di private equity, che rappresentano solo lo 0,2% delle masse italiane investite, contro il 3,4% del Nordamerica. «Le eccellenze della media impresa attirano sempre più investimenti dai fondi private equity, ma questi capitali sono esteri», spiega Innocenzi. «La responsabilità del banker non è solo verso il singolo cliente, ma verso l’economia reale del proprio Paese. E quale modo migliore esiste di aiutare lo sviluppo delle Pmi italiane se non con i capitali degli stessi italiani?».
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