di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Le nozze tra Ersel e Banca Albertini Syz, storiche private bank di famiglia, e l’acquisizione di Banca Leonardo , altra blasonata boutique d’alta gamma, da parte dei francesi del Crédit Agricole, aprono un nuovo capitolo nell’industria italiana delle banche dedicate ai grandi patrimoni. Una stagione di m&a che porterà a una maggiore concentrazione degli asset dopo anni in cui a dominare le scene sono state le reti di consulenti finanziari, Banca Generali e Azimut su tutte, che, senza esclusioni di colpi, hanno messo in campo un’aggressiva politica di reclutamento. D’altra parte la posta in gioco è alta e la concorrrenza è destinata a farsi più agguerrita.

Dall’osservatorio Il Private Banking nel Mondo realizzato da Aipb e The Boston consulting group è emerso che l’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di penetrazione del servizio, con una copertura pari all’86% per i clienti che hanno una ricchezza finanziaria superiore al milione di dollari. Quindi banche, reti e boutique devono puntare sulla crescita tramite operazioni straordinarie o sui reclutamenti per aumentare la propria quota di mercato. Su tutti gli operatori poi incombono le pressioni normative, a partire dalla Mifid 2, che imporranno di contenere i costi. Di qui la necessità di raggiungere dimensioni in grado di poter assicurare adeguate economie di scala.

Se Banca Leonardo è entrata nell’orbita dei francesi, in Italia i due big del credito Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno preso strade opposte. La prima ha creato nel 2015 un polo unico unendo Banca Fideuram, Sanpaolo Invest e Intesa Sanpaolo Private Banking, la seconda ha appena lanciato una boutique ad hoc, Cordusio sim, dedicata esclusivamente alla gestione dei patrimoni dai 5 milioni di euro in su. Oggi i banker di questa nuova sim (che è partita ereditando una parte delle masse del private banking del gruppo Unicredit ) sono oltre 100 e gestiscono mediamente 40 nuclei familiari a testa per un totale di circa 24 miliardi di euro di asset, mentre al 30 settembre 2017 il numero complessivo dei consulenti finanziari e dei private banker di Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking era pari a 5.915, ossia 67 nomi in più rispetto a fine 2016, con un portafoglio medio pro-capite di circa 36 milioni.

Fra i banker con rilevanti masse in gestione, entrati in Fideuram Intesa Sanpaolo private Banking nel corso del 2017, spicca l’ingresso di Davide Cardillo. Nei nove mesi 2017 questo gruppo spicca al primo posto per raccolta netta totale, in base ai dati Assoreti, con 10 miliardi (di cui 3,1 miliardi di Fideuram, 6 miliardi di Intesa Sanpaolo Private Banking e oltre 900 milioni di Sanpaolo Invest). Seguono in classifica nei nove mesi Banca Generali con 5,1 miliardi, Fineco con 3,8, Allianz Bank con 3,23, Banca Mediolanum con 3,2 e Azimut con 1,7 miliardi.

Dal punto di vista della raccolta netta pro capite dei promotori delle singole reti in pole position c’è Intesa Sanpaolo Private Banking che ha una raccolta netta per banker di 6,6 milioni. In forte sviluppo anche la rete di Bnl Bnp Paribas Life Banker, seconda con una raccolta netta pro capite da inizio anno a fine settembre di 3,27 milioni. Intanto da gennaio fino a fine ottobre nella rete guidata da Ferdinando Rebecchi sono entrati 73 consulenti che hanno portato l’organico totale a 356 professionisti. Proprio Gianpietro Giuffrida, responsabile Bnl-Bnp Paribas Private Banking sul tema di cosa rappresenterà la Mifid 2 per il settore sottolinea che «è tra i driver più importanti nella costante e progressiva trasformazione dei modelli di domanda e offerta private». Aggiunge Giuffrida: «I clienti private nella scelta del loro wealth manager di fiducia, prediligono quelle realtà che garantiscano prossimità, operando sul territorio, ma che assicurino servizi in grado di gestire le esigenze di tutti i membri della loro famiglia, il loro patrimonio finanziario, immobiliare, aziendale e di rispondere a quei bisogni, come il passaggio generazionale e la pianificazione patrimoniale, che sono attività svolte principalmente dai grandi player internazionali».

D’altronde dalla ricerca di Aipb e The Boston consulting group emerge che il patrimonio del cliente private italiano non è solo finanziario, ma è composto da una quota consistente di ricchezza immobiliare e da un patrimonio aziendale ancora da intercettare attraverso un servizio di wealth advisory dedicato. Tanto più che riuscire a svolgere un servizio di advisory sull’intera ricchezza permette di fidelizzare il cliente e riduce il rischio di frazionamento del patrimonio nel momento del passaggio generazionale.

Banca Generali si attesta al terzo posto per raccolta netta per consulente da inizio anno, con 2,68 milioni, seguita da AllianzBank con 1,58 milioni e Fineco a 1,45 milioni. E proprio Fineco da inizio anno ha reclutato 67 professionisti senior e oggi può contare su un portafoglio medio per banker pari a 25 milioni di euro. Nella trimestrale del gruppo guidato da Alessandro Foti si ricordava anche che è in corso la costituzione di un asset management company di diritto irlandese. D’altronde un modello integrato da consulenza e asset management risulta più efficiente nell’ottica della Mifid 2, che richiederà sempre maggiori scambi e coordinamento tra fabbrica prodotto e distribuzione.
Sul mondo del private banking hanno avuto un impatto anche le operazioni di m&a a livello di capogruppo. Per esempio a seguito della fusione avvenuta a inizio 2017 tra Banco Popolare e Bpm è nato Banco Bpm che si presenta oggi come il terzo gruppo bancario italiano. Il piano strategico del gruppo ha previsto anche una riorganizzazione di tutta l’attività di private banking e wealth management, facendola confluire sotto il marchio di Banca Aletti. La società ricorda che «l’insieme delle iniziative in campo consentirà di arrivare alla fine del 2018 con masse in gestione per circa 50 miliardi di euro. In crescita, di conseguenza, anche il numero delle unit dedicate al private banking che oggi sono 44, dove operano già ora circa 275 private banker».

Per quanto riguarda il gruppo Credem in Banca Euromobiliare da inizio anno sono entrati sei banker con elevati portafogli. Si tratta di Claudio Civiero, Renato Calabretto e Stefano Piccinin da Banca Intermobiliare , Giancarlo Nicolazzo da Mps, Filippo Morelli e Michele Paolella, entrambi da Ubs. Mentre in Finanza & Futuro (gruppo Deutsche bank ) i reclutamenti da inizio anno sono stati una sessantina. In Mediolanum sono 87 i professionisti inseriti dall’inizio dell’anno a fine settembre nella squadra guidata dal direttore commerciale Stefano Volpato, di cui 45 provenienti da altre banche. Mentre CheBanca!, a poche settimane dal lancio ufficiale della rete dei consulenti con l’ingresso del direttore centrale Duccio Marconi (strappato al Credem di cui era direttore commerciale della rete di banker), ha reclutato Luca Damiani con il ruolo di group manager Lombardia e Veneto. Sempre in Lombardia è entrato un altro group manager, Maurizio Cortinovis, mentre in Liguria è arrivato Alessandro Desideri. Ulteriori rafforzamenti si registrano in Campania con il district manager Giovanni Gargiulo, a cui si sono uniti Raffaele Oliva e Gianfranco Staiano, rispettivamente ex San Paolo Invest e Mediolanum.

Questo fermento in termini di passaggi e operazioni di m&a è destinato a continuare anche per il ruolo che hanno proprio le divisioni di private banking nel creare valore per le capogruppo. Come ricorda il presidente di Aipb Fabio Innocenzi: «All’interno del sistema bancario italiano il private banking mostra di contribuire in modo significativo alla generazione di ricavi ricorrenti, accompagnati da un basso assorbimento di capitale». Il private banking gestisce a oggi un quarto del totale della ricchezza finanziaria del Paese, circa 800 miliardi di euro su oltre 4 mila miliardi, riferibile a risparmiatori che hanno portafogli ampiamente diversificati e senza esigenze di immediata liquidabilità. Patrimoni quindi adatti per investimenti di medio e lungo periodo, «ideali per finanziare i progetti di sviluppo delle imprese», aggiunge Innocenzi, che ricorda che un terzo degli asset della clientela in gestione appartiene a imprenditori. «Per poter attivare il circolo virtuoso tra risparmio delle famiglie private italiane e finanziamento delle pmi, e quindi favorire lo sviluppo dell’economia italiana, credo sia necessario l’allargamento della gamma di strumenti a disposizione», sottolinea Innocenzi. E qui il riferimento va ai Pir, i piani di risparmio esentasse che finora hanno una soglia troppo bassa (30 mila all’anno) rispetto alle maxi taglie dei portafogli del private banking. (riproduzione riservata)
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