di Daniele Cirioli

Il «servizio» non basta agli insegnanti di scuole private e paritarie per maturare il diritto alla pensione. Se non sono stati versati i contributi e sono trascorsi cinque anni, infatti, l’anzianità è persa per sempre, anche quando sia possibile provare d’aver insegnato. La novità arriva dalla circolare n. 169/2017 emessa ieri dall’Inps. I nuovi criteri, che saranno in vigore dal 1° gennaio 2019, salvano invece i dipendenti statali, quelli di enti locali e i sanitari (ex Ctps, Cpdel, Cpug e Cps): per loro, infatti, la prescrizione non ha conseguenze negative, con piena computabilità dei periodi di servizio ai fini della pensione a prescindere dall’effettivo pagamento dei contributi. L’attenzione dell’Inps, come accennato, riguarda esclusivamente le gestioni previdenziali dei dipendenti pubblici, oggi gestite dall’Inps dopo l’inglobamento dell’Inpdap. A quest’istituto, si ricorda, erano già confluite le casse Ctps, Cpdel, Cpug, Cpi e Cps. La Ctps dei dipendenti statali e università; la Cpdel di quelli d’enti locali (regioni, province, comuni ecc.); la Cpug degli ufficiali giudiziari; la Cpi degli insegnanti di scuole primarie paritarie (pubbliche e private), di asili eretti in enti morali e delle scuole dell’infanzia comunali; la Cps dei sanitari (medici Asl ecc.). Il principio che vale per tutte le casse è quello della prescrizione quinquennale dei contributi non versati. Il termine, spiega l’Inps, decorre dalla data in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 codice civile), che per la contribuzione coincide con il giorno in cui l’istituto può esigerla. Si tratta della data di scadenza del termine per fare il versamento (giorno 16 del mese successivo a quello a cui la contribuzione si riferisce). In caso di non assolvimento degli obblighi contributivi e di decorso del termine di prescrizione quinquennale, si estingue il diritto a riscuotere i contributi e l’Inps è impossibilitato a riceverla, anche quando avvenisse in via spontanea da parte del debitore. Se il principio è unico per tutte le casse, diversa è la sorte che tocca ai lavoratori. A favore di quelli iscritti alle casse Ctps, Cpdel, Cpug e Cps l’Inps rende applicabile l’art. 31, comma 2, della legge n. 610/1952, in virtù del quale i periodi relativi a contributi non versati restano comunque validi ai fini della pensione con l’Inps che li recupera, anche in via coattiva, in misura pari alla c.d. «riserva matematica» (cioè la provvista finanziaria necessaria a pagare la «quota» di pensione del periodo non versato). Nel caso di lavoratori iscritti alla cassa Cpi, invece, l’Inps non rende applicabile la stessa normativa, ma l’art. 13 della legge n. 1338/1962 con la conseguenza che il periodo relativo ai contributi non versati non è valido ai fini della pensione (cioè non computabile nell’anzianità). L’unica via che resta al lavoratore è richiedere, a carico del datore di lavoro, la costituzione di una rendita vitalizia.
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