di Paola Valentini
Le polizze vita tradizionali hanno una potenza di fuoco di 600 miliardi di euro, una parte dei quali potrebbero essere canalizzati nei piani di risparmio individuali (Pir) allo studio del governo per attirare il risparmio delle famiglie italiane verso le pmi. Ma allo stato attuale questi contratti, pur essendo sulla carta tra quelli ammessi al regime fiscale agevolato previsto, non possono in realtà accedervi.

“I prodotti vita tradizionali hanno riserve per 600 miliardi, rappresentano circa un sesto del risparmio delle famiglie italiane e sono di gran lunga lo strumento preferito dagli italiani per l’investimento a lungo termine”, ha detto Maria Bianca Farina, presidente dell’Ania, in audizione presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato sui temi oggetto della legge di Bilancio 2017, che introduce appunto i Pir.

“Giudichiamo molto positivo incentivare i risparmiatori a ricercare investimenti a lungo termine, a maggior ragione ora che la regolamentazione prudenziale delle banche e delle assicurazioni scoraggia, in modo forse eccessivo, impegni a lungo termine. Avremmo ritenuto forse più opportuno fissare un periodo ancora più lungo per la maturazione del beneficio fiscale, anche per meglio allineare l’orizzonte di investimento con le necessità delle imprese da finanziare”, ha aggiunto Farina.

Ma la questione più urgente da affrontare è un’altra. “Dobbiamo rilevare come la formulazione attuale della norma renda pressoché impossibile l’accesso al regime fiscale agevolato dei Pir ai sottoscrittori dei prodotti assicurativi tradizionali, ossia i prodotti rivalutabili a rendimento minimo garantito di ramo I e V, efficaci strumenti di raccolta a lungo termine”, avverte Farina.

Nel mirino finiscono in particolare le polizze vita di ramo I (quelle legate alle gestioni separate) visto il brillante andamento della raccolta negli ultimi anni presso i risparmiatori, attratti dalla garanzia di rendimento (pur in diminuzione per via del ribasso dei tassi), dalla stabilità dei risultati che peraltro si consolidano anno per anno, oltre che dall’assenza dell’imposta di bollo.

Ecco perché Farina sottolinea che “il punto per noi cruciale è che venga chiarito dal governo e dal legislatore che anche i sottoscrittori dei prodotti assicurativi tradizionali di ramo I possano beneficiare, in funzione della quota di investimenti qualificati sul totale delle riserve, dello stesso trattamento fiscale giustamente proposto per i sottoscrittori dei Pir e per gli aderenti alle forme pensionistiche complementari”.

Il rischio, è quello di “creare una disparità significativa di trattamento fiscale su strumenti di risparmio a lungo termine aventi, nella sostanza, le stesse finalità”, conclude Farina.

La legge di Stabilità prevede che il Pir sia un contenitore che può prendere la forma di un rapporto di custodia o amministrazione o di gestione di portafogli o di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione. Chi apre e detiene il Pir per almeno cinque anni ha un’esenzione dell’imposta sulle rendite finanziarie (26%) fino a un ammontare complessivo versato non superiore a 150 mila euro, e, in ogni caso, non più di 30.000 euro all’anno.

Per godere dell’esenzione i piani debbono investire almeno il 70% del valore complessivo in strumenti finanziari, anche non negoziati, emessi o stipulati con società (che svolgono attività diverse da quella immobiliare) residenti in Italia o in Stati membri dell’Ue ma con stabile organizzazione in Italia.

Per canalizzare i risparmi verso le pmi è previsto che almeno il 21% del complesso dell’investimento sia concentrato nelle società diverse da quelle inserite nell’indice Ftse Mib. Proprio questi vincoli di compisizione del portafoglio rendono impraticabile per le polizze vita tradizionali la via dei Pir.

I requisiti minimi regolamentari di investimento in attività agevolabili infatti sono incompatibili con le logiche che caratterizzano l’operatività tipica dei prodotti assicurativi tradizionali, che devono sottostare a stringenti limitazioni di carattere regolamentare quanto a diversificazione e rischiosità degli investimenti.
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