GIURISPRUDENZA

Autore: Samuele Marinello
ASSINEWS 280 – novembre 2016

Per determinare se il danno patito dalla vittima di un sinistro stradale sia inferiore o superiore al massimale assicurato, al fine di determinare le conseguenze della c.d. mala gestio impropria, occorre avere riguardo al solo massimale pattuito nella polizza, ma non l’esistenza di altri coobbligati e il massimale dei rispettivi assicuratori della RCA

Nell’assicurazione della RCA la domanda di mala gestio (impropria) da parte del danneggiato non deve essere formulata espressamente. Questo il ragionamento che sorregge il principio:
– il limite del massimale è invalicabile quanto al capitale, non già quanto agli interessi o al maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c.;
– se l’assicuratore della RCA ritarda colpevolmente l’adempimento della propria obbligazione nei confronti del danneggiato, egli può essere condannato quindi solo agli interessi sul massimale, ovvero al maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c. (che può consistere anche nella rivalutazione del massimale, se nel tempo della mora il saggio di inflazione monetaria ha ecceduto quello degli interessi);
– pertanto, per ottenere la corresponsione degli interessi e rivalutazione, oltre il limite del massimale, non è necessario che il danneggiato proponga già in primo grado (per non incorrere in preclusioni) nell’ambito dell’azione diretta anche una domanda di responsabilità dell’assicuratore per colpevole ritardo, ma è sufficiente che egli, dopo aver dato atto di aver costituito in mora l’assicuratore, richieda anche gli interessi ed il maggior danno da svalutazione ex art. 1224 c.c.

L’assicuratore della RCA è debitore nei confronti della persona danneggiata dall’assicurato di una obbligazione scaturente direttamente dalla legge: all’epoca dei fatti, dall’art. 18 l. 24.12.1969 n. 990 (oggi dall’art. 144 cod. ass.). Questa obbligazione di fonte legale nasce limitata: è la stessa legge, infatti, che ne fissa l’importo massimo in misura pari al massimale minimo previsto dalla legge o, se superiore, dalla polizza. Il limite del massimale è invalicabile, salvo due casi: per le spese di soccombenza o per le conseguenze della mora.

Queste due deroghe si spiegano con la considerazione che l’assicuratore della RCA, nell’indennizzare la vittima, non risponde d’un fatto proprio, ma d’un fatto altrui: e proprio per questo la sua obbligazione è limitata. Ma quando, per contro, l’assicuratore della RCA resti soccombente nel giudizio contro di lui promosso dalla vittima, ovvero ritardi colposamente l’adempimento della propria obbligazione, tiene due condotte lato sensu illegittime, delle cui conseguenze egli dovrà rispondere per l’intero, perché si tratta di conseguenze del fatto proprio, non del fatto altrui. Al di fuori di queste due ipotesi, il limite del massimale è invalicabile, anche nel caso di responsabilità solidale dell’assicuratore con altri corresponsabili. Ciò per l’interpretazione letterale e per quella finalistica. Dal punto di vista letterale, gli artt. 9 e art. 18, comma 2, l. 990/69 (corrispondenti agli artt. 128 e 144 cod. ass. oggi vigente) fanno espresso riferimento al massimale del contratto, senza dunque consentire alcuna possibilità che la misura di esso possa lievitare a causa della presenza di corresponsabili. Dal punto di vista dell’interpretazione finalistica, nell’assicurazione della r.c. il massimale svolge la funzione cui assolve il valore assicurato nell’assicurazione danni, della quale la prima è una sottospecie. Ne consegue che la certezza della misura del massimale e della sua invalicabilità è elemento indispensabile all’assicuratore per la determinazione dei premi e delle riserve, in ossequio al generale precetto di sana e prudente gestione che, previsto dagli artt. 3, 5 e 183 cod. ass., costituisce l’asse portante della disciplina dell’impresa assicurativa.

Pertanto, a ritenere – come ha fatto la Corte d’appello – che nel caso di sinistro concausato da più assicurati il massimale vada determinato sommando quello previsto dalle polizze di ciascun corresponsabile, si perverrebbe ad un risultato del tutto incoerente col sistema legale, ovvero impedire all’assicuratore qualsiasi seria previsione sull’andamento della sinistrosità e sulle riserve da accantonare. Riserve che, è bene ricordare, costituiscono una garanzia per la massa degli assicurati, e non un patrimonio dell’assicuratore. L’assicuratore della RCA, ove ritardi colposamente il pagamento della somma dovuta a titolo di risarcimento al terzo danneggiato, può essere tenuto alla corresponsione degli interessi sul massimale ed, eventualmente, del maggior danno ex art. 1224, comma secondo, cod. civ. (che può consistere anche nella svalutazione monetaria), ma nulla di più: deve, in particolare, escludersi che l’assicuratore possa essere condannato, a causa di mala gestio, al pagamento in conto capitale di una somma eccedente il massimale. Da ciò discende che per determinare le conseguenze della mora dell’assicuratore della RCA occorre distinguere tre ipotesi. L’ipotesi più semplice è quella in cui il danno patito dalla vittima sia, al momento di costituzione in mora dell’impresa designata, inferiore al massimale, e resti tale anche al momento del pagamento. In questo caso l’assicuratore del responsabile deve versare al danneggiato il medesimo importo a questi dovuti dall’assicurato. Tuttavia il debito del responsabile verso la vittima è una obbligazione di valore, fa sorgere la mora dal giorno dell’illecito (art. 1219, comma 2, n. 1, c.c.), e produce i c.d. interessi compensativi. Ora, l’assicuratore della RCA deve tenere indenne la vittima di tutti i danni provocati dal responsabile: e dunque sia dei danni emergenti, sia del danno da ritardato adempimento. Ne consegue che, quando il debito è inferiore al massimale sia al momento dell’illecito che al momento della solutio, la mora dell’assicuratore della RCA produrrà i medesimi effetti della mora del responsabile: dunque l’assicuratore della RCA sarà tenuto a pagare gli interessi (c.d. compensativi), ad un saggio scelto in via equitativa secondo le circostanze del caso, applicato su un capitale pari alla media (semisomma) tra il valore del credito risarcitorio espresso in moneta dell’epoca del fatto, e lo stesso importo espresso in moneta dell’epoca della liquidazione, ovvero – il risultato è analogo – applicato per il primo anno sul credito espresso in moneta dell’epoca del fatto, e poi per ogni anno successivo sul credito via via rivalutato. La seconda ipotesi è che l’importo del danno patito dalla vittima già al momento della costituzione in mora ecceda il massimale. Quando il debito dell’assicuratore della RCA eccede il massimale si applicano le regole sulla mora nelle obbligazioni pecuniarie: si è detto infatti che l’obbligazione dell’assicuratore della RCA ha ad oggetto non il risarcimento del danno, ma l’adempimento del debito altrui. Essa è, dunque, una obbligazione di valuta e non di valore. Ciò vuol dire che l’assicuratore della RCA sarà tenuto a pagare un capitale pari al valore nominale del massimale, ai sensi dell’art. 1277, comma 1, c.c. Su tale importo però l’impresa debitrice dovrà corrispondere gli interessi legali moratori di cui all’art. 1224, comma 1, c.c., anche in eccedenza rispetto ai massimale. Ove, poi, la vittima deduca e dimostri anche il maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, c.c., l’assicuratore della RCA sarà tenuto al pagamento – in luogo degli interessi moratori – di quest’ultimo danno, che potrà ovviamente consistere anche nella svalutazione monetaria, se il saggio di questa sia stato superiore a quello degli interessi legali e la vittima dimostri, anche con presunzioni semplici, che un tempestivo adempimento le avrebbe consentito di investire il denaro in attività tali che l’avrebbero preservata dagli effetti dell’inflazione.

Può accadere infine, che il credito risarcitorio della vittima, inferiore al massimale all’epoca di costituzione in mora dell’assicuratore, con l’andare del tempo lieviti sino ad eccedere il massimale al momento della liquidazione: vuoi a causa della svalutazione monetaria, vuoi per qualsiasi altra ragione. Anche in questo caso l’assicuratore è ovviamente tenuto al pagamento degli interessi di mora ex art. 1224, comma 1, c.c., sull’importo nominale del massimale, salvo il maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c. La particolarità di questa terza ipotesi sta nel fatto che il maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, c.c., potrebbe in teoria consistere anche nella differenza tra il valore del danno all’epoca della mora ed il valore del danno all’epoca del pagamento, ove la vittima deduca e dimostri che, in caso di tempestivo adempimento, essa avrebbe potuto ottenere un ristoro integrale, precluso invece a causa del ritardato adempimento dell’assicuratore. In questo caso, pertanto, la vittima ottiene un ristoro integrale del danno sia in conto capitale, sia in conto interessi: non già perché venga meno il limite del massimale, ma perché l’eccedenza del danno rispetto al massimale in conto capitale viene ascritto all’assicuratore a titolo di maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c. Il giudice del rinvio, pertanto, dovrà provvedere a rideterminare l’obbligazione dell’impresa assicuratrice del responsabile, tenendo conto del passaggio in giudicato del capo di sentenza che ha accertato la mala gestio della Compagnia, e alla luce dei principi che precedono, e quindi: – determinerà l’importo nominale del massimale all’epoca del sinistro; – stabilirà se alla data del sinistro il danno patito dagli attori era superiore od inferiore al massimale; – calcolerà gli interessi legali sull’importo sub (a) a far data dallo spirare dello spatium deliberandi di cui all’art. 22 l. 990/69, salvo che sia stato chiesto e dimostrato dai creditori il maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c.; – imputerà al risultato finale gli acconti pagati dalla Compagnia, secondo i criteri stabiliti dall’art. 1194 c.c. (prima agli interessi maturati alla data di pagamento, poi al capitale); – in caso di incapienza, ripartirà il massimale tra i tre danneggiati col criterio proporzionale imposto dall’art. 27 I. 24.12.1969 n. 990 (applicabile ratione temporis), e quindi stabilirà il capitale spettante a ciascun danneggiato moltiplicando il massimale per il danno del singolo, e dividendo il risultato per il danno complessivo.
(Corte di Cassazione, sez. III Civile, 7 novembre 2014 n. 23778)

La sospensione del termine di prescrizione nei contratti di assicurazione

In tema di assicurazione, alla norma generale dettata, in materia di prescrizione, dall’art. 2935 c.c. – secondo la quale la prescrizione stessa comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere – , viene apportata deroga dalla norma di cui all’art. 2952, quarto comma, del codice civile, la quale, regolando in ogni suo aspetto il rapporto tra assicurato e assicuratore, detta, altresì, la disciplina speciale della sospensione del termine di prescrizione sino alla definitiva liquidità ed esigibilità del credito del terzo danneggiato; tale sospensione si verifica non già con la denuncia del sinistro, bensì con la comunicazione, efficace anche se proveniente dallo stesso danneggiato o da un terzo, all’assicuratore, della richiesta di risarcimento proposta dal danneggiato.
(Cassazione civile sez. III, sentenza del 26 febbraio 2014 n. 4548)

Prelievo ematico e stato di ebbrezza

Qualora ai sanitari presso i quali sia stato soccorso il conducente di un veicolo coinvolto in un sinistro stradale sia richiesto il prelievo ematico preordinato all’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza art. 186 codice della strada, al trasgressore, previa informazione al medesimo della finalità per cui è effettuato il prelievo ematico, deve essere dato l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.
(Cassazione civile sez. VI, sentenza del 24 febbraio 2014 n. 4405)

La responsabilità dellalbergatore

In tema di sottrazione ad opera di ignoti di beni (nella specie gioielli) custoditi in locali compresi nell’ambito alberghiero, la responsabilità dell’albergatore per le cose dei clienti sorge per il solo fatto della introduzione, da parte del cliente, delle cose nell’albergo indipendentemente da qualsiasi consegna, poiché essa inerisce direttamente al contenuto del contratto alberghiero, dovendo essere riferita all’obbligo accessorio dell’albergatore di garantire alla clientela la sicurezza delle cose portate in albergo, contro eventuali perdite, danni e furti.
(Cassazione civile sez. III, sentenza del 4 marzo 2014 n. 5030)