Roma C ento per cento “buy”. Il vento sembra girare nella giusta direzione per Carlo Cimbri se tutti gli analisti che seguono Unipol Gruppo Finanziario danno la raccomandazione di acquistare il titolo. E non è male neppure la valutazione di UnipolSai, la società operativa: anche qui, secondo il consensus di Bloomberg, i “buy” raggiungono il 42,9 per cento, mentre il 57,1 per cento dice “hold”. E poi non c’è nessun “sell”, nessun analista quindi che preveda che il titolo possa scendere. Inoltre, la scorsa settimana è arrivata la notizia che suggella questo magic moment con il mercato: l’agenzia di rating cinese Dagong ha dato a Unipol un giudizio (BB-B+) di due tacche superiore a quello della Repubblica italiana. Insomma, il management, che viene da anni di ristrutturazione dura e difficile (accorpare a Unipol e risanare le due compagnie di Ligresti, Fondiaria e Milano, oltre a una cinquantina di società, non era un compito da scolaretti), può adesso tirare un sospiro di sollievo. Il grosso, in termini di ristrutturazione, è fatto, e il mercato gliene dà atto. Il nuovo piano industriale sarà presentato a metà dell’anno prossimo, e adesso – con gli obbiettivi del precedente business plan già quasi tutti conseguiti e persino in qualche caso oltrepassati Cimbri e la sua squadra si trovano nel mondo di mezzo, sospesi temporaneamente fra un passato ormai archiviato e un futuro dove si delineeranno nuove ma ancora ignote

 

sfide. Che non saranno meno impegnative di quelle del passato: perché la ristrutturazione di aziende acquisite è nel Dna di Unipol, che lo ha fatto innumerevoli volte già dagli anni 90. Mentre disegnare un nuovo scenario, una linea di possibile sviluppo, è cosa assai più problematica in un contesto competitivo che si è fatto tremendamente complesso. Ma che significa in fondo questo buy collettivo riconosciuto ai titolo della scuderia Unipol? Ci sono almeno due buoni motivi per un giudizio così chiaro. Il primo, molto semplice, è che il dividend yield, agli attuali prezzi di Borsa, è intorno al 7,2 per cento per UnipolSai, in pratica il doppio di quello di Generali. E questo conta: del resto, Unipol è stata molto generosa negli ultimi due anni con gli azionisti – ai quali aveva chiesto immani sacrifici al momento della fusione con Fondiaria e Milano (e anche gli azionisti di queste ultime compagnie l’avevano pagata cara) – premiati con cedole del 7-8 per cento. Ora la storia si ripete anche per il 2015 con i dividendi che saranno pagati nel 2016. Insomma, Unipol è credibile perché ha un track record positivo su questo fronte. Secondo l’ultimo “Italian wake-up call” di Mediobanca Securities del 2 novembre scorso, persino nel prossimo anno – dove è atteso un peggioramento complessivo del ramo danni per un fattore ciclico di mercato – l’attesa è per un dividend yield alla fine solo leggermente inferiore a quello del 2015, intorno al 6 per cento. Una conferma che arriva anche da Banca Imi, che nel report del 18 novembre prevede un 6,9 per cento. Per quanto riguarda il buy su Unipol Gf, qui le interpretazioni s’incrociano con le illazioni fino a diventare quasi scommesse. C’è, fra gli analisti, chi dice che prima o poi Unipol Gf e UnipolSai potrebbero fondersi e scommettono sul fatto che, per ragioni tecniche, il concambio potrebbe essere favorevole alla prima. Ma c’è anche chi spera che l’offerta di Cimbri alle banche popolari in corso di fusione – cedere Unipol Banca in cambio di titoli azionari degli stessi istituti frutto di merger – vada a buon fine. Non è un mistero che Unipol Banca, dopo le abbondanti iniezioni di capitale, se ne sta lì ma non svolge un vero ruolo all’interno di un gruppo che vuole caratterizzarsi soltanto nel comparto assicurativo dove è il primo player italiano nel ramo danni. Vendere, però, non sembra al momento possibile. Anche perché l’istituto ha una presenza sul territorio a macchia di leopardo con 270 sportelli. Ma soprattutto perché l’obiettivo della gestione è quello di contenere i rischi: l’istituto infatti aveva erogato una buona fetta dei suoi crediti a immobiliaristi che con la crisi sono andati a gambe all’aria. Dopo la ricapitalizzazione di circa 100 milioni nel 2014 le cose non si sono ancora stabilizzate (la capogruppo ha accantonato altri 20 milioni nei primi nove mesi del 2015). Tuttavia l’istituto viene considerato solo una pedina di scambio. Unipol in sostanza si candida a diventare un socio stabile di un nuovo aggregato fra le popolari. E può darsi che prima o poi questa mossa abbia successo. Banca a parte, gli analisti cominciano a porsi la domanda di quale sarà il piano industriale del 2016. Dalla compagnia erano arrivati tempo fa segnali di una possibile espansione all’estero, ma poi sembra che si sia fatto marcia indietro. Il gruppo insiste molto sul fatto di essere leader in un mercato europeo importante qual è l’Italia (nel ramo danni) e ambito da molti gruppi stranieri. Lo scenario del prossimo futuro, per la compagnia guidata da Cimbri, sembra dunque quello di un consolidamento della propria posizione competitiva in Italia, grazie anche al fatto di essere numero uno al mondo nelle “scatole nere”, che garantirebbero a Unipol clienti complessivamente meno rischiosi. Pierluigi Stefanini, presidente del Consiglio di amministrazione Unipol Gf Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol Gruppo FInanziario Fabio Cerchiai, presidente del cda di UnipolSai