I tassi a zero spingono i fondi a cercare investimenti meno tradizionali come prestito titoli, infrastrutture, alternativi. Tutte strade aperte dalle nuove normative. Che tuttavia comportano maggiori rischi

di Paola Valentini

L’allarme lo ha lanciato sui mercati mondiali Bill Gross, il famoso gestore di fondi, fondatore di Pimco e oggi in attività presso Janus. I tassi a zero, per azione delle banche centrali, finiranno per distruggere la funzione del risparmio. E, nell’immediato i tassi a zero sono deleteri per molte aziende come le compagnie di assicurazione vita e i fondi pensione, che dovrebbero usare i proventi per erogare prestazioni previdenziali a una società in via di invecchiamento.

Una situazione che pone non pochi grattacapi soprattutto ai fondi pensione italiani che per anni hanno potuto contare sulla generosità dei titoli di Stato. Ma nelle ultime settimane anche l’Italia è entrata nel club dei tassi a zero, o sottozero visto che nelle ultime aste di Cct e Bot i titoli sono stati assegnati a rendimenti negativi per la prima volta nella storia d’Italia. Non a caso, per correre ai ripari, negli ultimi tempi sono iniziati i primi esperimenti di diversificazione negli investimenti alternativi. D’altra parte a fine 2014 è arrivato il Decreto 166 (dopo una lunga gestazione ha sostituito il vecchio decreto 793 del 1996) che ha ridotto le restrizioni quantitative, concedendo ai fondi una più ampia copertura dei mercati internazionali e una maggiore flessibilità di gestione. «Oggi è possibile investire in alcune asset class precluse in passato: mercati emergenti, commodity e fondi alternativi. 

Ci aspettiamo inoltre che la nuova normativa, unitamente al contesto di mercato attuale con tassi di interesse negativi o prossimi allo zero, possa stimolare gli investimenti anche in altre asset class come bond high yield, private equity e private debt, già ricomprese nell’universo investibile del vecchio decreto ministeriale 703/1996, ma finora non utilizzate dai fondi pensione», dice Antonio Iaquinta, responsabile clienti istituzionali di State Street Global Advisors Italia, che ha elaborato esempi di asset allocation alla luce della nuova normativa a confronto con le vecchie regole (si veda il grafico). E tra le principali modifiche previste, l’attenzione degli operatori si concentra soprattutto sui fondi alternativi dove è ora consentito investire fino al 20%. Come è emerso nell’ultimo sondaggio sulle intenzioni di investimento di casse di previdenza, fondi pensione, casse sanitarie e mutue compiuto da Valore (www.valoresrl.it), società di consulenza specializzata in servizi a fondi sanitari guidata da Stefano Ronchi, in collaborazione con Promoinside, società di mobile marketing, la maggioranza detiene una quota di investimenti alternativi inferiori al 5% dell’intero valore del portafoglio. Ma almeno la metà dichiara di voler effettuare investimenti in questi strumenti entro sei-dodici mesi. «L’utilizzo di forme di investimento alternativo ricopre un ruolo sempre più di rilievo all’interno dei portafogli di investimento», spiega Massimo Maurelli, fondatore di Mathema advisors, società di consulenza indipendente, «la possibilità di allocare risorse finanziarie in strumenti correlati non solamente ai mercati finanziari, ma a forme di investimento capaci di cogliere le opportunità legate ai cicli economici, consente infatti un’efficace decorrelazione, quindi una maggiore protezione dei rendimenti. Allocare le risorse in investimenti alternativi richiede però un approccio diverso da quello adottato per gli strumenti tradizionali».

Maurelli mette in luce che esistono tre criticità: l’ampiezza dell’universo investibile, l’accessibilità e la scelta del gestore. «Il primo ostacolo è facilmente superabile se si comprende come l’insieme degli investimenti tradizionali rappresenti solo un sottoinsieme del mondo degli investimenti: le gestioni tradizionali costituiscono oltre il 70% degli assets investiti globalmente, ma ciò non significa che in termini di tipologia di investimento esse siano rappresentative dell’intero spettro investibile. Al contrario sono gli investimenti che vanno al di là della logica del benchmark e della gestione passiva a costituire un universo investibile più ampio e dinamico: hedge fund e commodities, private equity e private debt, venture capital e crowdfunding, opere d’arte, vino, gioielli, terreni e tutti gli altri investimenti reali o finanziari accessibili oggi e in futuro». Sul fronte dell’accessibilità, la natura non regolamentata di questi strumenti ha spesso reso difficile l’incontro tra gestori e investitori europei. Ma grazie all’avvento della direttiva Aifmd questo ostacolo è stato rimosso con la creazione di un passaporto europeo. «Si è creato un vero e proprio mercato comunitario aperto a gestori e investitori, locali ed extraeuropei. Se si vuole vendere in Europa, si deve richiedere il bollino Aifmd, un certificato di garanzia del rispetto dei vincoli normativi, fiscali e organizzativi, ma non un attestato di qualità del prodotto di investimento offerto», afferma Maurelli. «Ciò determina il terzo e più rilevante problema: la scelta del gestore».

Il problema è che «data la natura quasi esclusivamente imprenditoriale di queste attività e il grado di complessità a esse associato, il rischio ultimo dell’investimento dipende dalle caratteristiche gestionali e organizzative del gestore stesso. Il mondo degli alternativi trova infatti la sua origine in iniziative di singoli che hanno dato vita ad aziende a carattere privato. Oggi anche i grandi asset manager offrono soluzioni di investimento alternativo, specialmente per quel che attiene ad alcune strategie liquide ed ai fondi immobiliari, ma tranne pochi casi, la popolazione dei gestori alternativi è per definizione una community di imprenditori», aggiunge Maurelli. Questo perché è la natura stessa dell’investimento a richiedere un’elevata specializzazione. «Ma soprattutto è la logica economica che fa di questi gestori degli imprenditori: la partecipazione con il capitale proprio e la profittabilità legata ai risultati, si contrappone al modello tradizionale in cui il gestore è un dipendente dell’azienda e la misura della performance avviene rispetto a un benchmark di mercato. Da qui la necessità di un processo di analisi e selezione del gestore che deve essere molto accurato con una gestione del rischio di investimento che va fatta ex-ante», conclude Maurelli.

Non a caso da uno studio condotto dal centro Baffi Carefin dell’Università Bocconi, presentato nel corso di un convegno organizzato da Generali  Investments (la principale società di asset management del gruppoGenerali , con oltre 370 miliardi di euro di attivi) guidata da ceo Santo Borsellino, emerge proprio che ai fondi pensione sono richieste competenze sempre più sofisticate per beneficiare delle maggiori possibilità offerte dalla nuova normativa del decreto 166. «Lo studio è volto ad analizzare come i fondi pensione negoziali italiani reagiscano alle recenti novità regolamentari. Da questo lavoro emerge come, di fronte alla possibilità di allargare l’universo di investimento e gli approcci di gestione, i fondi necessitino di sempre maggiori competenze finanziarie. La maggiore attenzione all’aspetto qualitativo dell’investimento richiede infatti che gli operatori si dotino di risorse e competenze più sofisticate di prima, anche facendo affidamento ai migliori partner esterni», ha spiegato Sergio Paci, docente della Bocconi e co-autore dello studio. E proprio per aumentare i rendimenti qualche giorno fa il fondo Arco si è affidato a State Street Corporation per offrire il servizio di prestito titoli. La nomina di State Street fa seguito alla pubblicazione delle linee guida emanate all’inizio di quest’anno da Covip. Oltre al decreto 166, anche l’autorità di vigilanza si è mossa per andare incontro alle esigenze di rendimento dei fondi pensione italiani. Le linee guida prevedono la possibilità di offrire direttamente il prestito titoli come servizio aggiuntivo per aiutare i fondi pensione a ottimizzare le attività di gestione finanziaria. «Il prestito titoli permetterà ad Arco di ottenere ricavi che verranno utilizzati sia per la parziale copertura delle attuali spese di controllo e consulenza sulla gestione finanziaria, sia per lo sviluppo della funzione finanza del fondo pensione», spiega Massimo Malavasi, direttore generale di Arco. Un’area tutta da sviluppare riguarda l’investimento nell’economia reale (pmi) e nelle infrastrutture. Era già possibile investire in fondi chiusi con la vecchia normativa 703, senza particolari specificazioni sulle asset class sottostanti al fondo chiuso: quindi potevano essere infrastrutture o private equity o real estate o private debt. Ma ora questi asset hanno maggiore attrattività perché con l’ultima legge di Stabilità, quella per il 2015, il governo ha varato uno sgravio fiscale per incentivare i fondi pensione e casse previdenziali obbligatoria ad allocare le loro risorse in questi due ambiti. Si tratta di un credito di imposta pari al 6% per le casse e del 9% per la previdenza complementare relativamente agli investimenti in attività di carattere finanziario a medio o lungo termine (nei settori infrastrutturali il Mef vi comprende progetti turistici, culturali, ambientali, idrici, stradali, ferroviari, portuali, aeroportuali, sanitari, immobiliari pubblici non residenziali, delle telecomunicazioni, compresi quelle digitali, e della produzione e trasporto di energia). Questo credito alleggerisce il prelievo del 20% che dal gennaio 2015 colpisce i rendimenti dei fondi pensione al posto del precedente 11% e il 26% delle casse. Ma punta soprattutto ad attrarre capitali per finanziare investimenti che necessitano di risorse per lunghi periodi di tempo e che vadano a beneficio dell’economia reale. E il mercato (altro articolo) si inizia a muovere. (riproduzione riservata)