La Stabilità 2016 prevede opzioni minime e spesso costose per la flessibilità in uscita, mentre Opzione Donna consente il part-time over 63. Ma dopo le proposte di Boeri ci si aspetta un intervento più incisivo. Ecco cosa c’è da sapere prima di scegliere

di Luisa Leone 

Puntuale come il cambio di stagione, ecco arrivare una nuova tornata di proposte e iniziative sulle pensioni. In un comparto in cui negli ultimi anni le riforme si sono inseguite a passo forsennato, i nuovi modelli previdenziali autunno/inverno 2015 sfilano sotto il naso di pensionati, pensionandi e aspiranti tali, senza troppa chiarezza su assortimenti e listino prezzi.

Il tutto condito dall’inedita discesa in campo del presidente dell’Inps, Tito Boeri, che ha pubblicato sul sito dell’istituto la sua proposta di riforma del sistema previdenziale, compresa di soluzioni sulla flessibilità in uscita, proprio mentre il Parlamento è alle prese con l’esame della legge di Stabilità dove, appunto, sono presenti solo piccoli interventi sulle pensioni, che niente hanno a che vedere con il piano Boeri.

Il governo ha accolto con freddezza le proposte del presidente Inps, presentate al premier Matteo Renzi già la scorsa estate a dire il vero, anche perché poggiano su una sorta di autofinanziamento basato su una sforbiciata alle pensioni più alte, calcolate con il retributivo (da oltre 5 mila euro mensili) e su un blocco degli adeguamenti all’inflazione per quelle tra 3.500 e 5 mila, oltre che su un intervento ad hoc sui vitalizi, per finanziare tra le altre cose un reddito minimo garantito di 500 euro per gli over 55 rimasti senza lavoro

Tuttavia Renzi e i suoi non sono contrari ad affrontare il tema della flessibilità in uscita, preferendo però rimandarlo a un progetto organico da presentare nel prossimo futuro, come ribadito ieri dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, probabilmente nel 2016.

Per trovare la bussola in questo intreccio di proposte e buoni propositi è il caso di partire dalle iniziative inserite nella legge di Stabilità 2016, per valutare se effettivamente sfruttarle sia conveniente oppure o no, in vista di una (a quanto pare) imminente più complessiva riforma del comparto. Intanto però qualche certezza c’è: la proroga per un biennio (2017-2018) della parziale indicizzazione delle pensioni sopra le tre volte il minimo (circa 1.500 euro lordi), prevista originariamente dalla Stabilità 2014 (tabella a pagina 31). Si tratta di una limatura al 95% dell’indicizzazione per gli assegni tra le tre e le quattro volte il minimo, del 75% per quelli tra le quattro e le cinque, del 50% tra le cinque e le sei e del 45% per tutte le pensioni superiori a sei volte il minimo, circa 3 mila euro lordi. Il sacrificio, in tempi di mini inflazione, non dovrebbe essere particolarmente significativo, poco più di 60 euro per pensioni intorno ai 2.500 euro, che diventano quasi 500 euro per un assegno da 10 mila. Da questo nuovo sacrificio richiesto ai pensionati lo Stato conta di portare a casa risparmi per circa 514 milioni nel 2017 e 1,15 miliardi l’anno successivo. Fondi che saranno utilizzati, insieme ad altre coperture, per finanziare interventi come l’innalzamento della no-tax area per i pensionati, con un incremento dagli attuali 7.750 euro a 8 mila euro per quelli over 75 e da 7.500 a 7.750 per gli under 75. Tradotto, questo significa aumentare le detrazioni previste per i pensionati, ma la norma entrerà in vigore solo dal 2017, con un costo complessivo stimato in 146,5 milioni nel 2017 e 160 milioni nel 2018. Anche se su questo punto hanno iniziato a concentrarsi gli emendamenti presentati in Senato, dove la manovra è sbarcata per la conversione. In particolare si chiede di anticipare la misura al 2016 ma anche di introdurre alcune novità come il prestito pensionistico. Ad ogni modo no tax area e mini indicizzazione, come pure la settima salvaguardia per gli esodati, non sono interventi facoltativi, mentre la scelta è lasciata al lavoratore nel caso degli altri due interventi previsti dalla stabilità, il part-time volontario per gli over 63 e l’opzione donna. Nel primo caso si tratta di una new entry assoluta per il sistema italiano, che permetterà ai lavoratori a non più di tre anni alla pensione (quindi almeno 63 anni e sette mesi e un monte contributi minimo) di optare per un orario ridotto tra il 40 e il 60% di quello pieno. La scelta dovrà essere avallata dal datore di lavoro, che oltre a pagare la retribuzione prevista per la quantità di ore lavorate, inserirà in busta paga anche i contributi pieni che spetterebbero al lavoratore, permettendo quindi al pensionando part-time di avere una busta paga più pesante rispetto a quella a cui avrebbe avuto diritto in caso di part-time puro e semplice.

 

La legge prevede che non si dovrà rinunciare neanche a un euro di contributi, perché mentre il datore di lavoro verserà in busta paga i contributi pieni per non ridurre troppo l’assegno a fine mese, lo Stato si farà carico di quelli figurativi. Risultato: l’assegno pensionistico al momento del ritiro dal lavoro non risulterà intaccato e la rinuncia in termini economici per la scelta del part-time dovrebbe aggirarsi attorno al 45% dello stipendio. Per chi considerasse allettante questa ipotesi è bene tenere presente che, secondo i calcoli del servizio Bilancio del Senato, con i circa 60 milioni di euro a disposizione per il 2016, potranno approfittare del part-time maggiorato non più di 30 mila lavoratori. Il tetto massimo annuale è considerato come un limite invalicabile e l’Inps non accetterà nuove domande una volta raggiunto l’importo massimo previsto nella Stabilità (tabella nella pagina accanto). E in ogni caso l’opzione è attivabile solo dai lavoratori del settore privato.

Dedicato a dipendenti anche del settore pubblico, ma solo a quelli di sesso femminile, è invece la proroga della cosiddetta Opzione Donna che permette alle lavoratrici con almeno 57 anni di età e 35 anni di contributi versati di poter lasciare il lavoro a partire dal 2016 se i requisiti saranno raggiunti entro la fine del 2015. Una possibilità che però viene pagata con il ricalcolo dell’assegno pensionistico sulla base del solo sistema contributivo. Un bel sacrificio, visto che per queste donne in gran parte l’assegno era calcolato con il ben più generoso retributivo. Secondo i calcoli contenuti nella relazione tecnica alla legge di Stabilità, per le lavoratrici dipendenti e autonome scegliere l’Opzione Donna significherà in media poter contare su un assegno di valore medio pari a 1.100 euro per le prime e di 760 euro per le seconde, con un taglio del 27,5% per le dipendenti e di ben il 36% per le autonome. Una scelta davvero costosa insomma, che tuttavia ha riscontrato un successo sempre crescente, come dimostrano i dati relativi alle dipendenti pubbliche che secondo le stime nel 2015 la sceglieranno in 7 mila, quasi il doppio rispetto alle 3.900 registrate nel 2014.

 

Probabilmente a dare appeal a questa forma estrema di flessibilità in uscita è proprio il fatto che finora non se ne intravedevano altre e piuttosto che restare bloccate al lavoro fino a 67 anni, molte donne hanno preferito scegliere un sacrificio economico. Ma ora queste lavoratrici, come pure tutti i lavoratori potenzialmente interessati al part-time, dovrebbero seguire con attenzione il dibattito sulla flessibilità in uscita, come accennato dalle proposte di Boeri. Proposte che ancora ieri il ministro del Lavoro Poletti ha definito non prive di elementi interessanti, sebbene non in linea con le direttrici del governo. Il riferimento implicito è alla sforbiciata sulle pensioni più ricche e non sorrette da adeguati contributi, secondo Boeri, che già da tempo ha messo nel mirino, con l’Operazione trasparenza, una serie di categorie particolarmente privilegiate. Ma al di là delle polemiche su questo aspetto la vera novità è che dalle tabelle pubblicate sul sito Inps emerge che la flessibilità proposta dal presidente, con uscite anticipate dai tre anni in giù rispetto ai requisiti attuali, non peserebbe in maniera particolarmente penalizzante sugli assegni futuri, limitandosi a un alleggerimento compreso tra l’8 e il 10% dell’importo base. Insomma, numeri non molto lontani da quelli contenuti nell’altra proposta al momento sul tavolo, quella di iniziativa parlamentare che porta le firme dell’attuale sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, e dell’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano.

Insomma, se è vero che il governo ha rinviato tutti i suoi ragionamenti al 2016 è anche vero che, se questi sono i numeri in ballo, alla fine il sacrificio richiesto per la flessibilità futura potrebbe non risultare così terribile. Non è detto però che aspettare non possa nascondere altre insidie. E di certo ancora non c’è chiarezza sul dove reperire le risorse necessarie, vista la bocciatura dell’ipotesi Boeri sulle pensioni più corpose. Forse nei prossimi mesi ne sapremo di più, intanto gli occhi rimangono puntati alle possibili modifiche alle norme già presenti in Stabilità per pensionati e pensionandi. (riproduzione riservata)