Siamo esseri irrazionali, soprattutto quando si tratta di denaro. Lo dice la neuroscienza. Per non perdere opportunità, l’avversione al rischio va tenuta sotto controllo. Ecco come funziona il cervello e come investono gli esperti non professionisti

di Stefania Peveraro

Non siamo il dottor Spock (il vulcaniano, uno dei protagonisti delle prime serie tv di Star Treck) e quindi le nostre decisioni sono molto spesso irrazionali. E il bello è che non ce ne accorgiamo. Non a caso, se interrogati su come prendiamo le nostre decisioni, diamo risposte molto razionali.

La maggioranza delle persone, se intervistata, è d’accordo sul fatto che gli investimenti finanziari siano una questione di cervello: la stragrande maggioranza degli intervistati associa questo argomento a parole quali razionalità (83%), competenza (83%), riflessione (82%) e consapevolezza (79%), senza eccedere troppo nella prudenza (64%). Invece dobbiamo essere consapevoli del fatto che, a differenza del dottor Spock, siamo dotati di un amigdala, cioè di quella parte del cervello che è responsabile delle reazioni/decisioni immediate, che avvengono in uno spazio compreso tra 17 e 33 millesimi di secondo, quando ancora la nostra corteccia frontale non se ne è resa conto. Se ammettiamo questo, almeno possiamo cercare di imparare a gestire le situazioni, perché se si tratta di denaro la decisione sbagliata può costare cara. È questo il succo degli interventi di Massimo Sumberesi, direttore generale di Doxa marketing advice, e di Matteo Motterlini, filosofo della scienza e neuroeconomista docente all’Università Vita Salute del SanRaffaele di Milano, tenuti nel corso della serata organizzata giovedì 26 novembre a Milano da LP Suisse Advisory per festeggiare l’esordio in Italia, dove le attività della società di private banking e asset management saranno guidate dal ceo Stefano Costantini.

 

Sumberesi, che ha intervistato 421 persone, ha spiegato che dal sondaggio risulta che «nella rappresentazione delle proprie attitudini all’investimento prevale in modo netto l’esigenza di mostrarsi equilibrati (48%) e riflessivi (32%), accantonando almeno in parte le velleità eminentemente speculative. Non sembra peraltro sussistere una dissonanza tra l’autopercezione di sentirsi un investitore puro e la tendenza a soppesare con attenzione le soluzioni più appropriate per la gestione del proprio patrimonio». Il sondaggio è stato condotto nella prima settimana di novembre su un panel di persone responsabili delle scelte di investimento della famiglia, di cultura medio-alta, competenza economico-finanziaria elevata e un portafoglio di prodotti finanziari articolato. Dall’indagine risulta chiaro che le esperienze vissute nel recente passato hanno lasciato il segno. Rispetto a prima della crisi dei mercati finanziari, la propensione al rischio è diminuita drasticamente: oggi solo una quota minoritaria (38%) è disposta ad affrontare un rischio anche contenuto di perdere parte del proprio capitale a fronte di un maggiore rendimento. In questo senso è coerente il dato per cui quattro soggetti su dieci dichiarano nelle scelte di investimento di essere guidati principalmente dall’esigenza di «protezione» (del patrimonio, della propria famiglia) piuttosto che dalla ricerca del risultato.

Ma appunto a proposito di propensione al rischio Motterlini ha spiegato che, a seconda delle situazioni, l’essere umano tende a cambiare prospettiva in maniera irrazionale. E un esempio vale per tutti. È scientificamente provato, ha detto Motterlini, che di fronte alla possibilità di guadagnare 100 euro con certezza e quella di guadagnare 200 euro ma con una probabilità del 50%, la maggioranza delle persone sceglie la prima soluzione, cioè non vuole rischiare. Se invece la scelta è tra perdere 100 euro con certezza oppure tra perdere 200 euro con una probabilità del 50% e perdere zero per un altro 50%, la maggior parte delle persone decide di rischiare e quindi sceglie la seconda soluzione. E non è ancora tutto.

 

È scientificamente provato anche che per la maggioranza delle persone una perdita pesa dal punto di vista emotivo molto più di un guadagno e che quindi per compensare una perdita è necessario un guadagno più importante. Si tratta della teoria del prospetto, che è valsa allo psicologo cognitivo Daniel Kahneman il premio Nobel per l’economia nel 2002. Ed è stata stabilita anche la proporzione esatta che porta all’equilibrio, ha detto ancora Motterlini: si tratta di 1 (perdita) a 2,5 (guadagno). La cosa interessante è che la stessa proporzione è stata ritrovata anche negli esperimenti condotti su primati, a indicare che stiamo parlando di qualcosa che è intrinseco nel nostro dna dalla notte dei tempi. Così come è ancestrale il funzionamento dell’amigdala, che è fatta per individuare tutti i possibili pericoli che potrebbero derivare dalle nostre stesse azioni e che quindi spesso ci spinge a non agire, anche quando sarebbe razionale farlo. Si tratta di una forma di protezione automatica, che però può impedire di cogliere anche delle opportunità. Insomma, ha concluso Motterlini, «possiamo imparare a essere razionali nelle scelte economiche, ma non lo siamo naturalmente».

Tornando ai risultati del sondaggio di Doxa Advice, risulta così più comprensibile la risposta data dalla maggioranza del campione sul mercato preferito sul quale investire oggi, che è quello italiano, rispetto a contesti percepiti come poco sicuri o semplicemente meno vicini e controllabili: sei intervistati su dieci ritengono che sia un buon momento per investire in Italia, quota che scende al di sotto del 50% per i mercati finanziari extra europei. Allo stesso modo va interpretata come indotta da una volontà di protezione anche la risposta di chi (la maggioranza) ritiene che oggi sia diventato più difficile gestire il denaro rispetto al passato. E il fatto che solo un 30% degli intervistati dichiari di aderire alle nuove forme di investimento, come prodotti assicurativi e finanziari che permettono di ottimizzare il carico impositivo (84%) o di mettersi al riparo da rischi imprenditoriali (89%). (riproduzione riservata)