Il 2015 segna la riscossa dei gestori con una raccolta sui massimi. Ma individuare il money manager realmente svincolato dall’indice non è facile. E d’altra parte gli Etf e gli indicizzati attirano per i bassi costi. Ecco un confronto tra categorie

di Paola Valentini

Dopo anni caratterizzati dalla perdita di quote di mercato a favore di fondi passivi, i gestori attivi sono passati al contrattacco. Quest’anno in Europa e nel Regno Unito il gestore attivo medio ha avuto risultati superiori all’indice del 3-5% circa. Un riscatto per i fondi non agganciati al benchmark perché la fase toro innescata dopo la crisi del 2008 dalle banche centrali e dalle loro politiche monetarie espansive aveva determinato una forte accelerazione della domanda per i fondi tracker e per i loro popolari cugini, gli Etf.

Stando a un report di Bny Mellon, «una delle ragioni della recente popolarità dei fondi passivi risiede nella loro tendenza a essere ampiamente diversificati. Come ha detto Warren Buffett, la diversificazione è una protezione contro l’ignoranza. Un altro fattore che ha contribuito al loro successo risiede nell’incapacità di molti gestori attivi di battere gli indici comparativi di riferimento. Questi fattori, però, devono essere visti in prospettiva».

Non a caso negli ultimi mesi i fondi attivi sono tornati alla ribalta perché il netto aumento della volatilità sui mercati finanziari ha fatto capire il valore della gestione non indicizzata. In Italia, complici anche i tassi ai minimi sui titoli di Stato, molti capitali hanno preso la strada del risparmio gestito come segnala la raccolta fondi che ha registrato nuovi record di flussi quest’anno.

In base ai dati Assogestioni, da gennaio a ottobre l’industria dell’asset management ha registrato una raccolta netta di 126 miliardi, a fronte dei 133 miliardi di tutto il 2014 (per trovare un dato più elevato bisogna andare indietro al 1998 che si era chiuso a quota 167 miliardi). Di questi, ben 88 miliardi sono andati nei fondi aperti rispetto ai 91,4 dell’intero 2014. Un risultato frutto anche della consulenza ai risparmiatori. «Oltre all’attività sul fronte della gestione, abbiamo anche lavorato a supporto delle nostre reti di collocamento per fornire alla clientela indicazioni affinché guardino oltre questo momento di incertezza, perché è importante gestire i rischi di portafoglio in ogni fase di mercato e soprattutto nelle situazioni caratterizzate da volatilità sostenuta», sottolinea Giordano Lombardo, ad e capo degli investimenti di Pioneer Investments (gruppo Unicredit ), oltre che presidente di Assogestioni.

Da inizio anno a fine ottobre Pioneer ha registrato una raccolta netta in Italia pari a 15,7 miliardi.

Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente l’incremento della raccolta netta globale è di oltre il 30%. «Non a caso, i maggiori flussi di raccolta nel corso di tutto il 2015 si sono indirizzati verso i prodotti cosiddetti absolute return o flessibili, ovvero verso quelle tipologie che, all’interno di una cornice di un controllo del rischio, privilegiano la flessibilità per mettere in atto coerenti scelte d’investimento. Tale fenomeno risulta essere trasversale a tutta la nostra clientela, sia di tipo istituzionale che retail», prosegue Lombardo.

Si è quindi tornati a discutere se sia meglio affidarsi a un gestore o a un indice. «Quasi tutti, da Warren Buffett agli investitori dell’ultima ora, stanno prendendo una posizione o stanno partecipando al dibattito relativo alla scelta tra investimenti attivi e investimenti passivi. Generalmente i fondi passivi seguono un indice o un portafoglio di titoli, offrendo benefici in termini di costi e vantaggi fiscali. I gestori attivi, invece, tentano di superare gli indici di mercato e gli investitori sono disposti a pagare commissioni più elevate a fronte delle competenze e delle capacità di mercato di tali gestori per ottenere rendimenti superiori», spiega John Hailer, ad di Natixis Global Asset Management America e Asia. Per Hailer il maggior svantaggio dei fondi passivi è che non prevedono alcuna gestione del rischio per gli investitori. «Quando si acquista il mercato, come nel caso degli indici, si acquistano i suoi rendimenti, positivi o negativi che siano. Al contrario, la gestione attiva consente di scegliere i titoli da inserire in portafoglio e di definire quali rischi di mercato assumere e quali evitare. Inoltre, anche se più onerosi, i fondi attivi sono dinamici e sono potenzialmente in grado di ottenere rendimenti superiori a quelli del relativo indice di riferimento», afferma Hailer. «In genere i gestori attivi, e in particolare quelli che utilizzano gli strumenti o le tecniche d’investimento più sofisticate, applicano commissioni più alte rispetto a quelle dei gestori passivi. Il loro appeal risiede nella capacità potenziale di offrire rendimenti più alti rispetto a chi si limita a seguire un indice di riferimento nell’arco di un periodo di tempo prefissato. I gestori passivi, invece, adottano un approccio più lineare, vincolato a replicare indici che possono essere azionari, obbligazionari, infrastrutturali, delle materie prime o di altre categorie di investimenti ancora», spiega Jason Lejonvarn, global strategist di Mellon Capital (gruppo Bny Mellon). A patto ovviamente di affidarsi al gestore giusto. Cosa non facile. E data la prospettiva di rendimenti a lungo termine più modesti, è necessario spostare l’enfasi sull’individuazione di quei gestori più in grado di generare valore al netto delle commissioni. Columbia Threadneedle Investments ha analizzato i rendimenti dei mercati finanziari negli ultimi 15 anni un periodo caratterizzato da diversi alti e bassi. «Il 24 febbraio 2015 l’indice della borsa inglese Ftse 100 ha raggiunto il suo livello pre crisi a quota 6930.2, un livello mai toccato da gennaio 2000. Un investitore passivo che si fosse agganciato al Ftse 1000 negli ultimi 15 anni avrebbe avuto soddisfazioni. Considerando il pagamento dei dividendi, quindi un vero total return, avrebbe ottenuto un rendimento del 68% tra il 31 dicembre 1999 e il 28 febbraio 2015. Ancora meglio ha realizzato il Ftse All-Share Index, un indice più rappresentativo dell’economia inglese: 10 mila sterline investite in questo benchmark sarebbero diventate oltre 19 mila, con una performance del 90%. «Gli investitori in fondi passivi o in un indice in questo periodo avrebbero ottenuto rendimenti interessanti», afferma Campbell Fleming, ad per l’area Emea di Columbia Threadneedle Investments, «ma un fondo attivo ben gestito avrebbe ottenuto un rendimento significativamente più alto». Fleming cita l’esempio di un comparto di casa Threadneedle specializzato sulla borsa inglese, lo Uk Fund che nel periodo ha avuto un rendimento cumulato del 141%, con le 10 mila sterline investite a fine 1999 che dopo 15 anni sarebbero salite a oltre 24 mila, mentre un analoga somma nel fondo Threadneedle Uk Equity Income Fund sarebbe diventata di 30 mila sterline con una performance dall’inizio del 200%. Queste performance sono tutte al netto delle commissioni. «Le gestioni passive non sono una panacea low cost, ma sono uno degli strumenti a disposizione in un ampio basket di strumenti di investimento a disposizione dei risparmiatori per raggiungere i propri obiettivi», afferma Fleming, «allo stesso modo scegliere il giusto gestore attivo non è un affare semplice».

C’è poi un altro problema, ed è quello dei gestori che si dicono attivi ma in realtà non lo sono affatto, e fanno pagare al sottoscrittore le commissioni tipiche di una gestione attiva. Sono i cosiddetti closet tracker o index hugger, e rappresentano la crescente bestia nera dei gestori attivi, ossia quegli asset manager che adottano un approccio basato su scarse convinzioni e vincolato a un benchmark, investendo nell’ottica di evitare le perdite, a fronte tuttavia di commissioni tipiche della gestione attiva. «Se mai è esistita una formula destinata a penalizzare i portafogli degli investitori, è questa. Vi sono poi quei gestori che, non riuscendo a gestire efficacemente i limiti di capacità della strategia prescelta, si ritrovano sopraffatti da afflussi di liquidità sulla scia di solide performance a breve termine. Ciò dimostra l’importanza di operare una distinzione tra gli asset manager consapevoli dei vincoli di capacità e quelli che si limitano a raccogliere capitali», aggiunge Chris Wagstaff, head of pensions and investment education di Columbia Threadneedle Investments.

E sebbene l’individuazione dei gestori attivi che potrebbero battere il mercato nel lungo periodo sia un’impresa tutt’altro che semplice, data la prospettiva concreta di futuri rendimenti a lungo termine più modesti tale opera di selezione è probabilmente tempo speso bene. «Quando si valutano le strategie di investimento attive, soprattutto nei portafogli multiasset, gli investitori dovrebbero considerare i rendimenti potenziali che queste sono in grado di generare, nonché il livello di costi e di complessità implicito nella gestione del fondo. Anche se è vero che i fondi passivi tendono a essere più economici rispetto a quelli attivi, questi ultimi possono sovraperformare i mercati nelle fasi di ribasso, un vantaggio che Etf e simili non presentano. Inoltre, chi si limita a seguire un indice non può offrire lo stesso grado di controllo della volatilità e di protezione dalle perdite di un bravo gestore che selezioni attivamente i titoli e adotti una disciplina rigorosa di stop loss e gestione dei rischi», sottolinea ancora Lejonvarn.

 

Infatti, soprattutto in questa fase in cui alcuni listini azionari sono ai massimi, non vanno dimenticati i rischi di ribassi. «A oggi, gli afflussi principali negli investimenti passivi si sono verificati nelle fasi toro, ma i ribassi, durante i quali la liquidità si riduce sempre, sono inevitabili. In questi momenti, gli investitori più tecnici valutano se adottare posizioni short selettive, peggiorando ulteriormente i prezzi di vendita per i fondi passivi. Al contrario, i gestori attivi hanno una maggiore flessibilità sulle tempistiche e le dimensioni delle singole transazioni», affermano gli esperti di Bny Mellon.

«Pensiamo che in questo momento l’importante sia dare soluzioni di prodotto che rispondono a bisogni concreti delle famiglie come ad esempio quello di un reddito costante che i risparmiatori possono usare per integrare le proprie entrate di natura non finanziaria», sintetizza Lombardo, che sottolinea in questa fase la forte attenzione del mercato sui fondi multi asset, la versione moderna dei vecchi bilanciati di una volta con una sofisticazione maggiore perché possono spaziare su più attivi. «In ogni caso riteniamo che la crescita delle masse dell’industria dell’asset management, non solo italiana, possa durare ancora a lungo, altri tre o quattro anni, perché i rendimenti negli impieghi alternativi, come i titoli di Stato, sono ai minimi, e questo aumenta la domanda di rendimenti attraverso forme di risparmio gestito», prosegue Lombardo. «Inoltre la presenza dei fondi comuni nei portafogli delle famiglie è ancora bassa e lontana dai livelli di fine anni 90, nonostante il recente aumento avvenuto negli ultimi due anni». Terzo motivo, «oggi c’è un forte allineamento con i distributori nel fornire soluzioni che contengono elementi di consulenza direttamente nel prodotto e questo facilita il lavoro che viene svolto insieme alle reti distributive», conclude Lombardo. (riproduzione riservata)