di Roberto Miliacca 

 

Chi inquina paga. Sembrerebbe un principio di civiltà giuridica scontato, eppure ci sono voluti ben 20 anni per affermare che i crimini contro l’ambiente non sono più contravvenzioni, ma delitti. Alcuni dati, per capire di cosa stiamo parlando: nel solo 2014 sono stati 29.293 gli ecoreati accertati per un giro d’affari pari a 22 miliardi di euro.

 

Sono altresì aumentate le infrazioni nel settore dei rifiuti (+26%) e del cemento (+4,3) alimentate dal fenomeno della corruzione Il 2015 verrà ricordato come un vero e proprio spartiacque, cioè come l’anno in cui è stata approvata la legge che introduce nel codice penale uno specifico titolo dedicato ai delitti contro l’ambiente, che punisce chi vuole fare profitti a danno della salute collettiva e degli ecosistemi. Con l’entrata in vigore della legge 68/2015, approvata a fine maggio, nel codice penale italiano sono stati introdotti cinque nuovi reati contro l’ambiente (disastro e inquinamento ambientale, traffico e abbandono materiale ad alta radioattività, impedimento dei controlli, omessa bonifica), alcuni dei quali considerati di particolare gravità, con la previsione dell’inasprimento della lotta alle ecomafie. A distanza di sei mesi dall’entrata in vigore, Affari Legali ha voluto fare un punto, sentendo alcuni degli avvocati specializzati che stanno affiancando le aziende per spiegare loro che, esattamente come già oggi avviene con la 231, anche con la legge 68 viene prevista un’attività di ricognizione dei rischi ambientali potenziali che, se svolta, può ridimensionare la responsabilità dell’impresa. Molti studi hanno già iniziato a lavorare su questo filone, seppure con qualche dubbio dovuto alla prima fase applicativa.