In una fase di tassi a zero ed emergenza terrorismo, Tosato (Schroders) spiega dove le famiglie possono investire e quali asset sorprenderanno. Secondo lui il boom del gestito durerà un altro biennio

di Paola Valentini

Fra tassi a zero e mercati sotto attacco, i tempi sono sempre più difficili per chi di mestiere fa il gestore. Servono nervi saldi e capacità di guardare oltre il breve termine. E Schroders, società di gestione nata nel 1804, ha sempre fatto della capacità di puntare lontano e di anticipare i trend d’investimento i punti di forza della sua storia di oltre due secoli.

Al vertice del gruppo che ha masse per 400 miliardi di euro c’è un italiano: Massimo Tosato, vicepresidente esecutivo, in Schroders dal 1995. Tosato dal 2001 fa parte del board del gruppo che ha sede nella City di Londra. Dalla quale ha un osservatorio privilegiato sui mercati finanziari e sul futuro dell’asset management italiano, che in questo momento di raccolta record è al centro dell’interesse di molti gruppi stranieri (ne è un esempio la contesa in corso su Arca). Ecco perché Milano Finanza gli ha chiesto di delineare le tendenze dei mercati e del settore. A partire da dove investire in quest’economia di guerra.

 

Domanda. Quali sono i temi di investimento nei prossimi mesi, anche considerando che i mercati hanno retto dopo gli attentati a Parigi?

Risposta. Molto dipende da come evolverà la situazione economica negli Stati Uniti, in Europa e in Cina, nonché dal contesto geopolitico in Medio Oriente, e da come questo si rifletterà sui mercati. Le attività cicliche e al momento più depresse, come i Paesi Emergenti o le materie prime, potrebbero sorprendere alla fine del 2016 o nel 2017 qualora la crescita si consolidasse.

D. Un consiglio operativo?

R. Nel breve periodo, credo che l’azionario europeo long/short coperto sul dollaro (per un investitore che ragiona non in euro, ndr) possa essere interessante.

D. Quali sono i fondi che oggi vi vedono più impegnati per i risparmiatori alle prese con tassi a zero?

R. Un risparmiatore valuta i prodotti sulla base dei benefici che ottiene al netto dei costi. Al contrario, l’industria del risparmio gestito ha sempre adottato una prospettiva focalizzata più sulle proprie capacità di gestione che sugli obiettivi del cliente. Questo deve cambiare. Bisogna definire le diverse soluzioni in base a ciò che offrono piuttosto che a come sono costruite, parlando ad esempio di reddito, protezione dall’inflazione, crescita del capitale parametrata a differenti livelli di rischio. Questo è quello che conta per una famiglia. Non importa come è fatto il motore, conta dove ti porta l’auto. Attorno a pochi grandi bisogni da soddisfare stiamo ridisegnando e riposizionando la nostra offerta nel retail.

D. Continuerà la forte raccolta dei fondi in Italia?

R. Per ragioni culturali e demografiche, gli investitori italiani sono attratti dall’immobiliare, il 73% possiede almeno un immobile, e da soluzioni in grado di generare flussi di reddito regolari. Tassi vicini allo zero sono alla base del successo degli ultimi due anni del risparmio gestito. Questo trend è destinato a continuare per il prossimo biennio, fino a quando comincerà una normalizzazione dei tassi in euro.

D. Quali sono le sfide degli asset manager per creare valore per i clienti oggi?

R. Le sfide sono tante. Il successo riscosso negli ultimi anni dagli Etf e dagli altri strumenti passivi da un lato riflette una corretta attenzione ai costi, un effetto moda e forse una mancata comprensione dei rischi che si corrono in alcuni mercati in caso di crisi di liquidità; dall’altro, come spinta positiva, impone ai gestori attivi un maggiore impegno nel dimostrare la propria capacità di aggiungere valore al netto delle spese. Gli oneri e il tempo richiesto dall’ondata di nuova regolamentazione hanno avuto un diretto impatto sui costi, influenzando la capacità di costruire prodotti competitivi. Anche il modo di concepire le relazioni con i clienti sta cambiando. Il valore di un asset manager consiste anche nella capacità di informare in modo trasparente i clienti, producendo contenuti interessanti per educare e supportare consulenti finanziari e investitori finali.

D. E gli sviluppi nel digitale?

R. Una delle conseguenze della rivoluzione digitale è la gigantesca disponibilità di dati nuovi e non strutturati che si generano ogni ora, ogni giorno. L’analisi dei cosiddetti Big Data è la nuova frontiera: un’altra area in cui si gioca la partita della gestione attiva. I vincitori saranno coloro che sapranno organizzarli, interpretarli e usarli per generare alpha, affiancando o sostituendo la ricerca basata sull’analisi fondamentale. Anche la creazione di nuovi prodotti d’investimento cambia, poiché la tecnologia può essere utilizzata per ottimizzare la gestione della volatilità e dare risultati più coerenti e stabili. Inoltre, sul lato organizzativo il digitale ci sta aiutando a snellire i processi e migliorare l’efficienza; nell’ambito della distribuzione ci impone una rivisitazione dei modelli distributivi e delle strategie di comunicazione, aprendo nuove frontiere nell’interazione con i nostri clienti online.

D. In che modo?

R. Ad esempio, abbiamo investito sulle nostre piattaforme web per incorporare funzionalità come il touch per cellulari e tablet, ma soprattutto contenuti interattivi realmente personalizzati, come da anni è possibile in altri settori commerciali. I sistemi analitici predittivi, che società come Google e Amazon hanno perfezionato, iniziano ad aiutarci ad anticipare le necessità dei clienti e a offrire loro un servizio di qualità superiore. Ciò è particolarmente importante poiché i Millennials (la generazione dei nati tra l’inizio degli anni 80 e la metà dei 90, ndr) preferiscono nuovi tipi di interazione con i fornitori di servizi. Non dimentichiamo che in un decennio questa generazione si trasformerà da debitore in risparmiatore e saranno loro i nostri clienti del futuro. Per loro dobbiamo iniziare a posizionarci strategicamente.

D. L’acquisizione di una quota della società online Nutmeg come si colloca?

R. L’investimento in Nutmeg è un’opportunità di apprendimento e sperimentazione nel wealth management on-line, un settore in forte crescita, seppur da base modesta. Assistiamo a un’esplosione dei robo-advisor a livello globale, con diversi modelli, dalla gestione alla distribuzione digitale. Per ora i numeri della distribuzione e gestione integralmente digitali sono piccoli. Credo che i vincitori in Europa nei prossimi cinque anni saranno le società con modelli ibridi, in grado di offrire la convenienza e comodità del digitale con il tocco personale della consulenza vis-à-vis, magari via Facetime o Skype.

D. Cosa è avvenuto in Gran Bretagna con la normativa Rdr in base alla quale i consulenti sono remunerati dai clienti con parcelle?

R. Tra gli aspetti positivi della Rdr, quello più significativo è la maggior trasparenza sulla struttura commissionale. Ciò ha portato a un incremento dell’utilizzo di Etf e strumenti passivi e ad una focalizzazione sui gestori attivi realmente in grado di generare valore. Inoltre i promotori sono stati obbligati a ottenere più qualifiche professionali, portando a un generale miglioramento delle competenze. È avvenuta una riduzione sostanziale del numero dei consulenti, a discapito soprattutto di quel 25% circa di soggetti meno preparati o part-time, con un effetto netto positivo sul sistema. Tra gli effetti negativi, c’è stato il graduale abbandono del servizio di consulenza finanziaria da parte delle banche, anche per i rischi e i costi di compliance. A questo si è aggiunta la tendenza dei promotori a escludere le fasce di clientela con portafogli sotto le 100 mila sterline, a causa dei maggiori costi di erogazione del servizio. Di conseguenza, i piccoli risparmiatori sono rimasti letteralmente orfani di consulenza. Infine, si comincia a vedere un processo di integrazione verticale tra gestori, piattaforme e reti di vendita per recuperare margini, un cambiamento strutturale che tende a ridurre la concorrenza.

D. Quali saranno gli impatti della Mifid II in Italia?

R. È difficile dirlo ora, poiché non è chiaro come le autorità interpreteranno le regole sugli incentivi ai distributori. Se molti distributori italiani non saranno considerati indipendenti, l’impatto potrebbe essere limitato. Il maggior livello di trasparenza aumenterà i costi e ridurrà i margini. Come risultato, potremmo assistere a una maggior verticalizzazione dell’offerta che favorirebbe modelli di architettura chiusa (collocamento di fondi propri e non di case terze, ndr).

D. Schroders ha compiuto i 20 anni di attività in Italia. Un bilancio?

R. Siamo stabilmente posizionati tra i primi cinque player internazionali. Con oltre 20 miliardi di capitali gestiti, la presenza in Italia continua a essere strategica per Schroders. Nel 2015, l’asset management italiano sta generando un’ottima raccolta netta ed è il nostro Paese più profittevole dell’Europa continentale. Anche nel wealth management, consideriamo l’Italia una grande opportunità: nonostante la recente crisi, lo stock di ricchezza delle famiglie è tra i primi dieci al mondo e il tasso di risparmio rimane elevato, oggi all’11,5%. L’Italia settentrionale è uno dei quattro bacini di ricchezza europei più ampi e concentrati. (riproduzione riservata)