di Valerio Stroppa 

Sono più di 2 milioni i veicoli «radiati per esportazione» negli ultimi quattro anni. Un esodo dietro al quale si celano vari profili di illegalità, anche dal punto di vista fiscale. In circa il 30% dei casi, infatti, le auto non vengono iscritte nei registri del paese di destinazione, ma entrano in un limbo del quale le autorità italiane perdono ogni traccia: alcune vetture continuano a circolare in Italia con «targhe temporanee» straniere, eludendo ogni obbligo dal punto di vista tributario (tassa auto e superbollo) e di responsabilità civile, rendendosi irreperibili alla notifica di multe e al redditometro; molte altre finiscono invece per essere smontate o demolite oltre confine, per lo più nell’est europeo, alimentando il mercato nero dei ricambi o dei rottami.

Un fenomeno che, unito alla congiuntura negativa e al crollo dei prezzi dei materiali ferrosi, sta mettendo in ginocchio l’intero comparto del recupero dei veicoli fuori uso. A denunciarlo sono Fise Unire (Unione nazionale imprese di recupero) e le associate Ada (demolitori) e Aira (riciclatori auto), in una lettera inviata nei giorni scorsi al presidente del consiglio Matteo Renzi e ai ministri dell’economia, dell’ambiente, dello sviluppo economico e dei trasporti.

Il prezzo del proler, il ferro derivante dalla frantumazione dei rottami metallici tra cui i veicoli fuori uso, è passato dai 243 euro per tonnellata dello scorso marzo a 170 /ton. Ciò sta generando «l’inevitabile chiusura di molte aziende», compromettendo la sostenibilità economica di un settore già alle prese con significativi investimenti per centrare gli obiettivi di recupero fissati dalla direttiva 2000/53/Ce. «La situazione è aggravata dalla costante diminuzione dei veicoli avviati a demolizione contro l’elevata quota dei veicoli radiati per esportazione», osservano Anselmo Calò, Rinaldo Ferrazzi e Mauro Grotto, rispettivamente presidenti di Unire, Ada e Aira, «non sempre questi ultimi vengono reimmatricolati all’estero, in certi casi nemmeno esportati, andando a eludere la normativa fiscale, di responsabilità civile e ambientale».

Nei primi nove mesi del 2015 le esportazioni sono state il 30% del totale. Ma nel Nordest, ossia nelle zone geograficamente più vicine ai principali mercati di sbocco dei veicoli a fine vita, si sono toccati picchi del 69% (Bolzano). «Riteniamo necessaria una modifica del quadro normativo», rilevano le associazioni, «introducendo alcuni concetti fondamentali ed ineludibili quali la reimmatricolazione quale condizione obbligatoria affinché un veicolo venga cancellato dal Pra prima di essere esportato nonché una stretta tracciabilità dei rifiuti derivanti dal trattamento dei veicoli stessi».

Nella situazione attuale c’è poi un ulteriore aspetto che ha del paradossale: mentre le radiazioni per esportazione fittizie sottraggono ogni anno ai demolitori centinaia di migliaia di tonnellate di rottami, l’industria siderurgica nazionale, strutturalmente in deficit di ferro, deve ricomprarselo dall’estero.