di Roberto Miliacca 

 

Ma è stata proprio una vera rivoluzione, quella dell’obbligo, per le aziende, di acquisire su web il consenso dell’utente per poter far entrare dei cookies nel loro computer? In linea astratta, sì. Di certo, creano un po’ di fastidio. I cookies sono infatti quei piccoli file di testo, come spiega sul proprio sito il Garante per la privacy, «che i siti visitati inviano al terminale (computer, tablet, smartphone, notebook) dell’utente, dove vengono memorizzati, per poi essere ritrasmessi agli stessi siti alla visita successiva.

Sono usati per eseguire autenticazioni informatiche, monitoraggio di sessioni e memorizzazione di informazioni sui siti (senza l’uso dei cookies «tecnici» alcune operazioni risulterebbero molto complesse o impossibili da eseguire). Ma attraverso i cookies si può anche monitorare la navigazione, raccogliere dati su gusti, abitudini, scelte personali che consentono la ricostruzione di dettagliati profili dei consumatori». Insomma, una regolamentazione della cosiddetta «profilazione» è necessaria per poter garantire un minimo di tutele alla riservatezza dei dati degli utenti su Internet. Da 5 mesi le regole sono operative e chiunque vada su un sito trova delle finestrelle a scomparsa che spiegano l’esistenza di questi cookies e la possibilità di impedire la diffusione dei dati. Sta funzionando? Gli avvocati esperti di It e privacy, che Affari Legali ha sentito questa settimana, qualche dubbio lo esprimono, e di certo il meccanismo creato deve essere tale da garantire comunque il funzionamento di Internet, al di là di un consenso espresso e specifico dall’utente. Attendiamo le prime rilevazioni del Garante per capire se la Cookies law sta funzionando, o se è solo una foglia di fico.