Il rilancio dell’economia italiana non può passare per il sacrificio del risparmio dei lavoratori È questa la posizione di Anasf sulla destinazione del Trattamento di fine rapporto in busta paga A rischio la previdenza complementare. La consultazione del Governo, i pareri degli attori coinvolti

di Stefania Ballauco 

«Il futuro influenza il presente tanto quanto il passato», dichiarò Friedrich Wilhelm Nietzsche. Niente di più vero di questi tempi, in cui le aspirazioni e le necessità future influiscono ampiamente sulle scelte dell’oggi. E anche il concetto di investimento, inteso come consumo differito nel tempo delle proprie risorse, sposa pienamente quanto dichiarato dal filosofo tedesco. 
Il tema delle pensioni più che mai si inserisce in questo contesto e le iniziative del Governo Renzi fanno un gran discutere. Tfr in busta paga sì o no? Per Anasf non vi sono dubbi. La risposta è negativa. È la linea che l’Associazione ha indicato alle Commissioni congiunte Bilancio della Camera dei Deputati e del Senato lo scorso 5 novembre, inviando una propria memoria sulle disposizioni previste dal disegno di legge di stabilità 2015 in materia di Trattamento di fine rapporto (Tfr) e di regime tributario delle forme pensionistiche complementari e delle casse di previdenza dei liberi professionisti.

Un primo punto che l’Associazione ha voluto evidenziare come critico è riferito all’articolo 6, che prevede che, in relazione ai periodi di paga dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018, i lavoratori dipendenti del settore privato possano richiedere al proprio datore di lavoro la liquidazione diretta mensile della quota maturata del proprio Tfr, e che questa possibilità sia estesa anche a chi abbia deciso di destinare il trattamento di fine rapporto al finanziamento della propria pensione complementare. Anasf ha sottolineato come questa previsione si pone in netto contrasto con tutte le politiche in materia di pensioni realizzate a partire dai primi anni Novanta. Sin dalla prima normativa in materia di forme pensionistiche complementari, introdotta con il dlgs n. 124/1993, l’intervento del legislatore è stato infatti ispirato dalla volontà di sensibilizzare i lavoratori rispetto alla necessità di garantirsi per il futuro un’efficace copertura previdenziale: nel corso degli anni questa esigenza è stata recepita e condivisa anche dalle realtà del mondo associativo, mediante la realizzazione di iniziative a cui anche Anasf ha contribuito. «L’attuale provvedimento rischia di trasmettere ai cittadini un segnale contraddittorio, mortificando l’importanza di una corretta pianificazione nel medio-lungo periodo delle proprie decisioni di risparmio e di investimento», ha precisato il presidente Anasf Maurizio Bufi. Questa indicazione risulta tra l’altro in accordo anche con quanto indicato da altre associazioni intervenute nella fase di consultazione sul tema. Ania, ad esempio, per voce del suo Presidente Aldo Minucci, ha rilevato la medesima criticità, sottolineando come sia sbagliato sacrificare il risparmio orientato al futuro a favore di possibili maggiori consumi attuali.

Seppur l’obiettivo della norma sembra quello di facilitare la ripresa dei consumi introducendo una forma di integrazione della retribuzione lavorativa, l’ipotesi descritta potrebbe generare un nuovo problema e cioè disincentivare il risparmio previdenziale, oltre che non porre rimedio al vero problema di stallo dei consumi. Infatti, così come strutturata, la norma riguarderebbe i soli dipendenti del settore privato, escludendo altre categorie di consumatori, tra cui i lavoratori del cosiddetto parasubordinato e i pensionati. «Piuttosto servirebbero interventi di politica sociale specificamente rivolti alle categorie di consumatori maggiormente colpite dalla crisi», ha evidenziato Bufi.

«Il risparmio è la grande risorsa che ha aiutato l’Italia a superare numerose crisi economiche e finanziarie e oggi più che mai andrebbe tutelato», ha dichiarato a PF il presidente di Assogestioni Giordano Lombardo. «Per questo crediamo che il governo debba incentivare ogni forma di risparmio ed in particolare quelle previdenziali e di lungo termine. In un Paese in cui la pensione dello Stato è destinata a ridursi progressivamente è più che mai necessario intervenire per avvicinare le famiglie a forme di previdenza complementare che possano garantire loro un futuro sereno. L’accantonamento del Tfr ed il suo eventuale impiego in forme di investimento previdenziale sono solo una parte di ciò che deve essere fatto per evitare di aggravare l’incertezza sul futuro pensionistico delle persone, con potenziali gravi ripercussioni sul piano sociale fra qualche anno».

Non contrario invece alla proposta del Governo Renzi, il vicedirettore di Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, che audito in Commissione ha dichiarato che il rilancio dei consumi previsto attraverso la destinazione del Tfr in busta paga rappresenta un passo positivo, ma che occorre tener conto degli effetti negativi sulla capacità della previdenza complementare di integrare il sistema pensionistico pubblico. Per questo motivo, l’auspicio dell’Autorità è quello di prevedere una temporaneità della norma.

Se dal punto di vista dell’industria, poi, si ritiene che questa operazione si ponga in assoluta controtendenza rispetto alle esigenze di miglioramento del mercato del lavoro – lo fa notare Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria – qual è la posizione delle banche? Secondo l’Abi, intervenuta alla Consultazione per voce del presidente Giovanni Sabatini, l’operazione sembrerebbe reggere, pur sottolineando la necessità di non far gravare sulle imprese questa misura. Uno dei temi da affrontare, secondo l’Associazione bancaria italiana, sarebbe quello di evitare l’aumento dell’esposizione dell’impresa nei confronti della banca.

Manovra poi considerata giustificata dalla Corte dei Conti, che per voce del suo presidente Raffaele Squitieri, ha voluto rilevare che si tratta di una operazione non priva di rischi e su cui è necessaria una riflessione accurata, soprattutto per i risvolti che essa avrà in termini di costi ed effetti sull’occupazione, anche per eventuali insorgenti comportamenti distorsivi da parte delle imprese, che potrebbero cercare beneficio dalla decontribuzione.

 

Un altro punto su cui Anasf ha rilevato alcune criticità è il tema del regime tributario delle forme pensionistiche complementari, che prevederebbe un aumento dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi applicata al risultato della gestione dei fondi pensione dall’11% circa al 20%. «Anche questa norma avrà evidenti ripercussioni sul risparmio previdenziale», ha aggiunto il presidente Anasf. «Se l’introduzione del Tfr in busta paga rischia di disincentivare i futuri investimenti in previdenza complementare, la norma ora richiamata ha l’effetto di penalizzare i risparmiatori che hanno già deciso di costruire una propria pensione a integrazione della pensione pubblica. L’aumento della tassazione sui fondi pensione rischia infatti di generare una serie di conseguenze negative tanto nel breve periodo, perché scoraggia il risparmio previdenziale, quanto nel lungo periodo, perché comporterà necessariamente una riduzione delle pensioni complementari disponibili mensilmente», ha precisato. L’anomalia è che l’Italia è uno dei pochi Stati membri Ue a tassare anche i rendimenti dei fondi pensione, mentre nella gran parte degli altri Paesi prevale uno schema secondo cui sono esentati sia i contributi versati sia i rendimenti del fondo, con la previsione dell’imposizione solo nel successivo momento dell’erogazione delle prestazioni pensionistiche. A bocciare l’aumento delle aliquote dei fondi pensione e dei redditi derivanti dalle rivalutazioni dei fondi per il Tfr è anche Abi, che auspica che questa previsione sia infine disattesa.

 

A destare la preoccupazione di Anasf è inoltre il coinvolgimento delle casse di previdenza dei liberi professionisti nel generale incremento della tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al 26%, che di nuovo scoraggerebbe un corretto sviluppo della previdenza integrativa del sistema pensionistico, creando una disparità di trattamento tra fondi di previdenza complementare (ai quali si applicherebbe un’aliquota del 20%) e casse professionali (la cui tassazione sarebbe invece del 26%). «È assolutamente necessario riconsiderare le disposizioni del disegno di legge di Stabilità 2015 relative al regime tributario sia delle forme pensionistiche complementari sia delle casse di previdenza private», ha dichiarato Bufi. «Non possiamo credere che le esigenze di rilancio dell’economia italiana debbano necessariamente passare attraverso il sacrificio del risparmio creato dai lavoratori».

La legge di Stabilità piuttosto potrebbe costituire l’occasione per creare nuove forme di risparmio e investimento utili a rispondere alle difficoltà della crisi economica del Paese. Come ad esempio i Piani Individuali di Risparmio (P.I.R.), che furono introdotti dal decreto legge n. 138/2011 come strumento che, beneficiando della stessa aliquota di tassazione ridotta, del 12,5%, prevista per i rendimenti dei titoli di Stato, avrebbe dovuto favorire forme di investimento a lungo termine a sostegno dell’economia reale. Cosa è successo dopo? Nessuna disciplina attuativa sul tema è stata mai adottata, portando alla mancata adozione di questi strumenti. «L’impegno a detenere l’investimento per un periodo di tempo minimo, ad esempio cinque anni, e la possibilità di vincolare la destinazione delle somme fanno sì che lo strumento dei Piani Individuali di Risparmio risponda efficacemente alle esigenze di rilancio dell’economia reale, facendo da leva alla ripresa degli investimenti, e quindi al circolo virtuoso che ne deriverebbe», ha commentato il presidente Anasf. La proposta è promossa anche da Ania, sottolineando come sia prioritario favorire un investimento di lungo termine, che consenta ai risparmiatori di investire una parte significativa delle loro disponibilità nell’economia reale. Cosa sarebbe quindi opportuno fare per incentivare la diffusione di queste nuove forme di investimento? «Valutare la previsione di specifiche agevolazioni», ha sottolineato Maurizio Bufi, «quali ad esempio forme contrattuali particolarmente trasparenti, modalità flessibili di versamento delle somme investite e schemi di esenzione o agevolazione fiscale, come l’applicazione dell’aliquota di tassazione del 12,5%».

 

Commentando la manovra nel suo complesso Bufi sottolinea inoltre come «verrebbero rese vane molte iniziative promosse da più parti e tra tutte anche quelle della nostra Associazione, soprattutto in termini di educazione al risparmio e agli investimenti. L’opera di sensibilizzazione su temi come la pianificazione finanziaria che stiamo rivolgendo ai giovani e l’importanza di un’ottica di lungo periodo verrebbe stravolta da pratiche differenti e in direzione opposta del Governo», ha aggiunto il presidente Bufi. D’accordo Lombardo: «In questa partita giocano un ruolo sempre più importante altri due fattori. Il primo è l’educazione finanziaria: è opportuno fornire alle famiglie gli strumenti e le informazioni necessarie per decidere in maniera autonoma e consapevole. Il secondo fattore riguarda invece le agevolazioni normative e fiscali a vantaggio di chi oggi deve pianificare il proprio futuro pensionistico. Mi riferisco in particolare ai giovani che, sempre più spesso, si affacciano tardi al mondo del lavoro e, che per via di un tasso di sostituzione sempre meno favorevole, godranno di una pensione pubblica ridotta con percentuali che oscilleranno tra il 40 e il 60%. Senza degli adeguati incentivi alla previdenza complementare è a rischio l’intero sistema», ha concluso il presidente di Assogestioni.

«Ai giovani devono essere rivolte azioni precise, a partire dal rilancio del mercato del lavoro, senza il quale le nuove generazioni non possono pensare al loro futuro. Il Governo, dando voce ad associazioni, autorità e interlocutori coinvolti, ha la possibilità di raccogliere spunti e riflessioni importanti per poter intervenire con consapevolezza e di proteggere il futuro di tutti noi», ha concluso il presidente Anasf Maurizio Bufi.