Come ci si può immunizzare dal rischio pil? La risposta concreta può essere quella della «diversificazione del rischio previdenziale», troppo poco metabolizzato in Italia. Il rischio pensionistico può essere identificato con il mancato raggiungimento di un copertura piena del tasso di sostituzione, ovvero il rapporto fra la prima annualità di pensione e l’ultimo reddito da lavoro percepito dal lavoratore. È importante allora evidenziare che la diversificazione del rischio previdenziale può conseguirsi aderendo a forme di previdenza complementare, facendo coesistere un sistema pensionistico pubblico a ripartizione e uno privato a capitalizzazione, assorbendo i possibili shock. Il sistema pubblico è infatti finanziato a ripartizione ed eroga le prestazioni secondo il regime della contribuzione definita; il montante accumulato è rivalutato in base al pil e, al momento del pensionamento, viene convertito in una rendita vitalizia il cui ammontare dipende dall’evoluzione della longevità. Vi sono dunque sia rischi legati all’andamento dell’attività economica domestica, sia rischi di eccessiva sopravvivenza. A questi si aggiungono rischi di natura politica connessi a mutamenti inattesi delle regole di funzionamento del sistema, come testimoniato dai numerosi interventi di riforma del sistema obbligatorio. Nel caso della previdenza complementare, il rischio assume connotati diversi a seconda delle caratteristiche del piano previdenziale. La Covip individua i fattori di rischio nell’aderire a un piano eccessivamente costoso, così come nel contribuire al piano in modo non adeguato, nello scegliere un profilo di investimento incoerente rispetto alle caratteristiche e alle propensioni personali o una modalità di fruizione della prestazione pensionistica (rendita ovvero capitale) inadeguata. L’iscritto sopporta poi una serie di rischi che prescindono dalla bontà delle scelte operate, e che possono essere sinteticamente individuati nel rischio di investimento, di longevità, di inflazione, di carriere lavorative interrotte e/o caratterizzate da discontinuità contributive. Bisogna poi chiedersi se nel momento in cui il disegno di legge di Stabilità prevede l’innalzamento dell’aliquota sui rendimenti delle forme previdenziali dall’11% (quest’anno 11,50%) al 20%, i fondi pensione abbiano ancora appeal. La risposta viene data in un interessante approfondimento condotto dal Mefop che, nell’ipotesi in cui le disposizioni in discussione in Parlamento venissero confermate nel testo definitivo, ha operato un calcolo di convenienza comparata tra la scelta di destinare il Tfr al fondo pensione piuttosto che lasciarlo in azienda o richiederlo in busta paga. Vengono elaborati tre casi concreti in termini numerici: il primo riferito al versamento del solo tfr, il secondo considerando il versamento del tfr, della contribuzione a proprio carico e di quella datoriale, e il terzo ipotizzando la sola contribuzione a carico dell’aderente. La conclusione empirica per il Mefop è che se anche le modifiche prospettate nel disegno di legge di Stabilità dovessero diventare effettive, la previdenza complementare resterebbe comunque lo strumento fiscalmente più conveniente. (riproduzione riservata)