di Francesco Ninfole

 

Ricavi e costi stabili, ma utili più che raddoppiati. È questo il quadro che si presenta guardando i risultati delle banche italiane nei nove mesi del 2014. Se l’andamento dei ricavi non sorprende in un Paese che non riesce a uscire dalla recessione, come si spiega l’andamento molto positivo dell’ultima riga di bilancio? I profitti delle banche, soprattutto quelli dei big Unicredit e Intesa, sono dovuti in gran parte alle minori rettifiche sul credito rispetto all’anno scorso, quando era ancora alta la preoccupazione per l’esame della Bce che allora era appena partito.

A distanza di un anno gli utili delle 22 banche italiane quotate sono passati da 1,18 a 2,76 miliardi: un aumento di 1,58 miliardi (+135%). Questi dati vanno però guardati nel dettaglio. Come mostra una ricerca di Value Partners sulle otto maggiori banche italiane, nei nove mesi le minori rettifiche hanno pesato per il 50% dei profitti (800 milioni su 1,6 miliardi). In questo ambito tuttavia lo scenario cambia da banca a banca: Unicredit e Intesa, sulla scia dei risultati positivi del comprehensive assessment della Bce e dei più elevati tassi di copertura di partenza, hanno ridotto gli accantonamenti sul credito rispettivamente di 1,6 miliardi e di 500 milioni di euro: di conseguenza hanno potuto registrare un utile più alto di 800 milioni (+81% rispetto a un anno prima) e di 600 milioni (+88%). Al contrario Mps eBanco Popolare hanno continuato ad aumentarli rispettivamente per circa 1 miliardo e per 400 milioni: così i loro risultati ne hanno alla fine risentito. La tendenza potrebbe proseguire anche nel prossimo trimestre: mentre i due big potrebbero mostrare un’ulteriore diminuzione delle rettifiche sui prestiti rispetto all’anno precedente (la maggior parte della pulizia era stata fatta proprio a fine 2013), altre banche potrebbero proseguire nelle svalutazioni innescate dall’asset quality review (che sono state particolarmente pesanti sul credito, come riportato da MF-Milano Finanza il 14 novembre).

I minori accantonamenti hanno fatto scendere il tasso di copertura dei crediti deteriorati di Unicredit, passato dal 52,5 al 51%. Il valore resta comunque il più elevato tra le maggiori banche italiane, che in media hanno coperture per il 44%: un valore stabile rispetto all’anno scorso, mentre i prestiti deteriorati (in proporzione a quelli lordi) sono aumentati dal 17 al 18,5%.

Se si mette da parte il tema del credito deteriorato e si guarda all’evoluzione di ricavi e costi operativi, i dati aggregati hanno mostrato valori pressoché stabili rispetto all’anno scorso. Tuttavia c’è stato un cambiamento nella composizione dei ricavi, poiché sono cresciute le commissioni: +4,7% per le otto banche analizzate da Value Partners, con una forte crescita registrata soprattutto da Intesa (+10%), Unicredit (+3,3%) e Mps (+3,2%). È questo il risultato di modelli di business sempre più orientati al wealth management e all’asset management, in una fase in cui persiste la contrazione dei volumi dei prestiti: uno scenario che penalizza i ricavi dell’attività creditizia tradizionale. Eppure come osserva Gabriele Benedetto, principal di Value Partners, il margine di interesse è comunque aumentato nei nove mesi per Ubi (+6,6%), Intesa (+3,9%), Unicredit (+2,3%) e in minor misura Bper (+1,5%): «Queste banche, percepite più sicure dal mercato, hanno tratto giovamento dal basso costo della raccolta». Secondo Benedetto i margini sui prestiti continueranno a contrarsi: da un lato i tassi sul funding sono già bassi e quindi non potranno scendere ancora di molto; dall’altro stanno diminuendo i tassi applicati alla clientela finale, anche come conseguenza di una maggiore concorrenza sui prezzi: «Il credito sta diventando un’attività a bassi margini, quindi diventeranno sempre più importanti i volumi. Questo fattore, ancor più dell’asset quality review, può spingere le banche a un maggiore consolidamento», spiega il consulente. Le aggregazioni potranno servire per il recupero della redditività, un percorso che non è completato, soprattutto per le banche di dimensioni medio-piccole.

Dal punto di vista patrimoniale, come già emerso nei risultati della valutazione della Bce, la situazione è in media rassicurante. A parte i casi di Mps e Carige, che stanno lavorando con la Bce per rafforzare il patrimonio in seguito alla bocciatura negli stress test, gli altri istituti hanno mostrato indici di capitale (common equity tier 1, secondo Basilea 3 in versione «fully loaded») sopra il 10%. Intesa è arrivata al 13%, le popolari Banco, Ubi, Bpm sono attorno all’11,5-12%, Unicredit e Bper attorno al 10,5%. (riproduzione riservata)