Franco Zantonelli

Berna A nche la Svizzera vara la sua riforma previdenziale, introducendo pensioni flessibili. Il progetto governativo, che dovrebbe entrare in vigore nel 2020, prevede infatti la possibilità di lasciare il lavoro a 62 oppure a 70 anni. Chi non volesse, invece approfittare della flessibilità è obbligato ad andare in pensione a 65 anni. Il che comporta una novità in negativo, per le donne, costrette a lavorare un anno in più. Finora, infatti, l’indennità di quiescenza scattava per loro a 64 anni. Per gli uomini non cambia nulla. La parificazione tra i sessi dell’età pensionistica è stata aspramente criticata da una parte del sindacato. “Le donne, che già sono discriminate dal punto di vista salariale e sul versante delle carriere, verranno ulteriormente penalizzate”, ha dichiarato Jean Christophe Schwaab, dell’Unione Sindacale Svizzera, al quotidiano Le Temps di Ginevra. Dal canto suo Economisuisse, l’associazione degli industriali critica la riforma in quanto ne paventa i costi: “Comporterà un aumento delle imposte e degli oneri sociali”. In effetti il governo ha anticipato che per finanziare il nuovo sistema pensionistico sarà costretto ad aumentare l’Iva di un punto e mezzo. La riforma, però, come ha puntualizzato il ministro degli Affari Sociali, Alain Berset, andava fatta senza se e senza ma in quanto, con l’aumento della speranza di vita e, soprattutto, con l’uscita dall’attività produttiva dei baby-boomer il banco del sistema previdenziale rischiava di saltare. “Se non interveniamo- la messa in guardia Berset -rischiamo un disavanzo annuo di 8 miliardi di franchi a partire dal 2030”. È l’equivalente di 6,5 miliardi di euro, una cifra che, cumulata nel tempo, finirebbe per mandare all’aria anche i conti pubblici di un Paese ricco e finanziariamente virtuoso come la Svizzera. E dire che, stando a uno studio di un centro studi australiano ritenuto autorevole che redige anche il “Melbourne Mercer Global Pension Index”, il sistema previdenziale elvetico è il quinto migliore al mondo. Preceduto solo da Danimarca, Australia, Olanda e Finlandia. In questa classifica, per la cronaca, l’Italia si piazza al 19° posto dietro al Brasile e davanti al Messico. È un sistema ben congegnato, quello della Confederazione, costruito su tre pilastri in modo da non lasciare nessuno per strada. Il primo, denominato Avs (Assicurazione vecchiaia e superstiti) garantisce il minimo di sopravvivenza a tutti. Il secondo pilastro è l’indennità pensionistica vera e propria, come esiste negli altri paesi industrializzati, mentre il terzo si presenta sotto forma di assicurazione sulla vita o di conto vincolato in banca. Solo i primi due pilastri sono obbligatori, il terzo però è sempre più diffuso dopo che il passaggio dal primato delle prestazioni a quello dei contributi ha reso più esigue le rendite del secondo. “Il pregio della riforma – spiega il docente di Economia dell’Università di Friburgo, Sergio Rossi – è quello di dare una visione d’assieme dei primi due pilastri, rendendoli complementari. Un altro merito è l’introduzione del pensionamento flessibile, tra 62 e 70 anni che permette a chi ha avuto una vita lavorativa faticosa di staccare la spina prima». Chi è entrato tardi nel mondo produttivo, a seguito di una formazione lunga, ha la possibilità di avere un numero sufficiente di anni di contributi, per usufruire di una rendita completa. “La riforma è comunque incompleta perché non sgancia il sistema previdenziale dall’andamento dei mercati finanziari. Le casse pensioni potranno continuare ad investire in borsa con tutti i rischi che comporta. Sarebbe stato un bel segnale invece decidere di privilegiare gli investimenti nell’economia reale”. Ma non è detto che, durante l’esame della riforma, da parte del Parlamento, questo correttivo venga introdotto. Un fatto sembra certo: anche in Svizzera, in effetti, la crisi finanziaria che ha sconvolto l’Europa ha lasciato ferite dolorose, in questo caso con riferimento agli accantonamenti dei lavoratori per la loro vecchiaia, sia quelli garantiti dai datori di lavoro pubblici e privati che quelli della previdenza integrativa, e ora bisogna correre ai ripari. Didier Burkhalter capo del governo svizzero