Christian Benna

C ercasi un’altra “Fata” disperatamente. Per scacciare i malefici della Borsa e risollevare un titolo sotto attacco, sprofondato del 30% in meno di mese. E soprattutto convincere il mercato che l’aumento di capitale in corso, che si concluderà il 27 novembre, sarà il driver per centrare gli obiettivi fissati dal piano industriale 2014-2017. Compito non facile per Cattolica Assicurazioni, la compagnia nata a Verona nel 1896, come cooperativa per tutelare i piccoli proprietari terrieri dai danni provocati da grandine e incendi, oggi bersagliata dalle vendite e dalle posizioni corte dei fondi. Eppure l’ultimo trimestre si è chiuso positivamente per la società, che ha messo a segno nei primi 9 mesi dell’anno una raccolta premi complessiva di 4.182 milioni di euro (+30,5%) e un utile netto consolidato di 83 milioni in crescita del 27,7% rispetto a settembre 2013. Ma i conti in grande spolvero non hanno convinto del tutto gli analisti. Intanto, la raccolta registra una crescita più debole nel settore più redditizio, quello dei premi danni, pari a 1,2 miliardi di euro, in sviluppo del 2,9%. Tuttavia, a ben guardare, come ha fatto notare il report di Equita Sim, non ci sarebbe stata crescita senza Fata Assicurazioni, la società radicata nel mondo agricolo acquisita lo scorso anno da Generali, per la prima volta scontata nel bilancio consolidato. “Al netto di Fata – scrive Equita Sim – i premi danni sarebbero scesi del 2,7%”. Altre ombre si allungano sul ramo Vita, che ha visto sì un aumento della raccolta 46%, pari a 2.893 milioni, ma continua a generare dubbi sulla sostenibilità di questa crescita. Rispondendo alle domande degli analisti il Cfo Carlo Ferraresi ha chiarito che, a partire da settembre «tutta la nuova produzione vita ha un minimo garantito pari a zero» e che la società oggi punta sui T bond, i titoli di stato americani in rialzo con previsione di una stretta monetaria della Fed. Si corre quindi ai ripari, come del resto è richiesto da Solvency II, dopo una stagione di grandi vendite di polizze vita, segnate da rendimenti minimi anche superiori al 4%, ma garantiti nelle gestioni separate dallo spread elevato e dagli alti tassi di interesse. Oggi, con i Btp decennali al 2,4% e i quinquennali all’1,4%, alcune compagnie rischiano di rimanere con il cerino in mano. L’ad Giovan Battista Mazzucchelli, presentando l’aumento di capitale da 500 milioni, ha sottolineato il carattere non “difensivo” ma espansivo dell’operazione. Una richiesta di risorse per arrivare entro il 2017 a una raccolta premi pari a 5,8 miliardi di euro, portare l’utile a 209 milioni e il Roe al 9%. Target e spiegazioni che non hanno convinto tutti. Per Kepler Cheuvreux il piano industriale sarebbe troppo ambizioso, e non ci sono abbastanza dettagli sull’utilizzo delle risorse che verranno raccolte. E circolano voci che il rischio dei minimi garantiti dalle polizze vita possa tramutarsi in futuro in un’ulteriore richiesta di aumento di capitale. Da qui le vendite. Dalla presentazione del piano industriale, il titolo è precipitato, perdendo il 34,1% nell’ultimo mese, in declino del 56,2% da novembre 2013. La sfida dei prossimi mesi sarà quindi decisiva. Per un modello di crescita che ha consentito al “calabrone” Cattolica di volare, quando solo sei-sette anni fa rischiava di finire a terra, polverizzata nel grande risiko assicurativo. La società, senza troppo clamore, e mantenendo i piedi ben saldi nella matrice cooperativa, operando sui territori e nelle periferie d’Italia, è arrivata a stare nella fascia alta della classifica, seppur a debita distanza, dietro ai big del settore: al quarto posto nel ramo danni, con il 5,9% del mercato, e sempre in quarta fila, in vita e danni, se si escludono gli intermediari (come Poste) non assicurativi. Le risorse reperite tramite l’aumento di capitale, andranno a sostenere la crescita per linee interne: circa 100 milioni destinati all’ammodernamento tecnologico delle 1600 filiali e altrettanti per irrobustire la struttura organizzativa che oggi conta sulla distribuzione di prodotti di oltre 5000 sportelli bancari (dalle Bcc alle Popolari). Altri 150, e forse anche di più, sono destinati alla campagna di shopping. Che con ogni probabilità ci concentrerà sul mercato domestico. I radar sono accesi su società di ispirazione cooperativa o comunque molto radicate nei territori di appartenenza. Il modello di shopping è quello già sperimentato con Fata Assicurazioni, acquisita l’anno l’scorso per 179 milioni da Generali. La compagnia è specializzata nel mondo agricolo. E il suo ingresso nel perimetro aziendale ha permesso di allargare nuovi business sul territorio, come è il caso dell’accordo decennale nel ramo danni raggiunto a ottobre con Coldiretti. L’intesa prevede l’apertura di 180 punti vendita, prevalentemente localizzati presso le sedi territoriali delle società di servizi partecipate della Confederazione dei coltivatori diretti.