Clausole & clausole

Alcune riflessioni sulle clausole RCI/O
Parte prima 

ASSINEWS 258 – novembre 2014

Prima la c.d. legge Biagi, poi la legge Fornero, ora il Job Act proposto dal governo Renzi … svolte epocali … Al datore di lavoro nocciono i sofismi contrattuali ed i grovigli di norme conditi dal burocratese. Allo stesso modo, il lavoratore colpito da infortunio sul lavoro non vorrebbe altro che il ristoro dei danni patrimoniali e non. Come si conciliano in tutto questo le norme del codice civile ed il d.lgs 81/2008? E le tutele assicurative? A volte da (ri)vedere …

Data la vastità degli argomenti trattati, come già avvenuto in passato suddivideremo l’articolo in due parti.
Nella prima parleremo della figura del lavoratore e di quella del datore di lavoro.
Nella seconda, analizzeremo la garanzia RCI/O (responsabilità civile impiegati ed operai) e come questa recepisce tali figure.

De Felice (presidente INAIL) commenta i dati del bilancio 2013 cosi: “Gli effetti della congiuntura perdurano, ma l’Istituto consegue un risultato economico vicino al miliardo di euro, migliorando ancora lo stato patrimoniale”.
A questo risultato ha quasi certamente contribuito anche la contrazione degli infortuni sul lavoro. Questi, tuttavia, non sono diminuiti tanto quanto sono diminuiti gli occupati (in particolar modo i giovani). Naturalmente, non ci si può aspettare una proporzionalità perfetta, ma a qualcosa di meglio si può auspicare considerato che, in Europa, c’è chi fa meglio di noi.
Inoltre, poco o nulla dei risparmi sociali così ottenuti sono reimpiegati per migliorare le condizioni di lavoro.
Qualcosina ci guadagna il datore di lavoro in termini di risparmio sugli oneri contributivi in caso di puntuale osservanza della norma prevenzionistica (vedi art. 24 del D.M. 12 dicembre 2000: l’INAIL riconosce una riduzione degli oneri contributivi variabile tra il 5 e 10% in relazione agli interventi effettuati per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di igiene nei luoghi di lavoro).

A volte succede che i nostri tecnocrati, celandosi dietro ad esigenze di regolamentazione ed armonizzazione, hanno come principale obiettivo il contenimento dei costi sociali e l’applicazione delle leggi partorite risulta spesso esasperata, lasciando sulle spalle della collettività le storture normative che si determinano.

Chi è il lavoratore? La definizione contenuta nel d.lgs 81/2008 in contrapposizione a quella presente nelle polizze

Tra i diversi provvedimenti e modifiche, qualche anno fa abbiamo assistito alla importante revisione delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. A coloro che hanno letto con attenzione il d.lgs 81/2008 (testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) non sarà certo sfuggita la definizione di lavoratore e quella di datore di lavoro.
Come non premurarsi nel settore assicurativo dei possibili impatti che avrebbero determinato sui diretti interessati? Pensate al datore di lavoro che si trova ad avere stipulato una polizza di responsabilità civile in cui la clausola RCI/O non contempla esaustivamente le diverse tipologie di lavoratori.
E pensare che tra gli obiettivi che si è posto il legislatore quando ha emanato il predetto decreto, oltre ad un’armonizzazione (anche in questo caso) delle varie norme sulla sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, c’era anche quello di definire più esaustivamente la figura del lavoratore e quella del datore di lavoro.

Leggiamo testualmente le definizioni:
“a) lavoratore: persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”.

Dunque, uno sfumato riferimento a vincoli contrattuali e/o di subordinazione dove non è condizione indispensabile la sussistenza della retribuzione.

“b) datore di lavoro: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

Anche in questo caso, l’aspetto “contrattuale” non è enfatizzato. Piuttosto, prevale l’aspetto legato all’organizzazione, alla responsabilità e al potere decisionale che distingue questa “personalità” dalle altre.

Nei contratti assicurativi, non troviamo la definizione di lavoratore.
Aggiungiamo che il testo della clausola RCI/O nei prodotti delle compagnie non è sempre espressa con la medesima forma. C’è chi fa riferimenti puntuali a determinate tipologie contrattuali (es. lavoratori “somministrati”), chi si rivolge a fattispecie più ampie come ad esempio “lavoratori ai sensi del d.lgs 38/2000”, fino a spingersi a rimandi come “addetti” e/o “prestatori di lavoro”, le cui definizioni di polizza, in alcuni casi sono presenti (ma difficilmente interpretabili), in altri casi neppure rubricate.

Tralasciando le considerazioni su realtà caratterizzate dalla collaborazione familiare, il nucleo centrale della garanzia RCI/O si rivolge in primis ai “dipendenti”, ed in particolare, ai dipendenti con vincolo di subordinazione nei confronti del datore di lavoro (per intenderci, come definito all’art. 2094 codice civile – prestatore di lavoro subordinato).
Detto questo, lo sforzo di coloro che si cimentano nella scrittura dei testi delle clausole, consiste spesso nel ricondurre le residuali categorie di inquadramento contrattuale alla garanzia RCT a deroga dell’articolo “persone non considerate terzi” (e spesso solo per chiarire che si coprono solo i casi morte o lesioni gravi e gravissime) oppure alla RCI/O mediante l’equiparazione o meno di tali figure ai dipendenti (cosa molto più rara), lasciando in alcuni casi “scoperte” (parzialmente o totalmente) determinate categorie di lavoratori.

Per ciò che riguarda il datore di lavoro, anche in questo caso non troviamo praticamente mai una definizione. Pertanto, deve essere dedotta in base alle considerazioni fatte sopra. Si arriva in tal modo alla conclusione che può essere il titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore “subordinato”, oppure, se la clausola RCI/O è sufficientemente ampia, si può arrivare a dedurre che si tratti di una figura analoga a quel la definita dal d.lgs 81/08 (salvo, ovviamente, il lavoratore “in nero” se qualcuno avesse inteso che in detto decreto siano inclusi).

Ma come può fare “l’uomo della strada” a districarsi da questi dubbi amletici? Con l’aiuto del consulente assicurativo ovviamente. Ma un tema come questo non è facile né spiegarlo né comprenderlo.

Quel che è certo, è che al datore di lavoro si affrancano e ne discendono precisi obblighi e responsabilità.
Tanto per fare degli esempi.
Prima di tutto si applicano i principi base riconosciuti dalla costituzione (art. 32 – tutela della salute nei luoghi di lavoro, art. 35 – tutela del lavoro, art. 38 – tutela del lavoratore in caso di infortunio, malattia, art. 41 – l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da arrecare danno alla sicurezza alla libertà, alla dignità umana) e le norme del nostro ordinamento: il T.U. 1124 del 1965, poi il d.lgs 38/200, gli articoli del codice civile: art. 2043 (risarcimento per fatto illecito), art. 2087 (tutela delle condizioni di lavoro), art. 2049 – responsabilità dei padroni e dei committenti, ecc. e, in sede penale, le diverse norme per fattispecie criminose, nonché il più recente d.lgs 81/2008 più volte citato.

Come si dovrebbero comportare le clausole RCI/O in relazione alle diverse figure lavorative ? E il danno differenziale (e/o complementare) è sempre coperto?

Nonostante le norme che abbiamo menzionato siano in vigore da qualche anno, siamo (purtroppo) ancora nella condizione di dover interpretare le clausole per verificare se idonee rispetto al quadro appena prospettato.
Analizzando i testi di alcune clausole RCI/O, sarà dunque possibile stabilire se il datore di lavoro è realmente tutelato e, di conseguenza, se con esso lo è anche il lavoratore.

È noto, infatti, che l’assicurazione sociale copre solo una parte dei danni lasciando sulle spalle del datore di lavoro il ristoro dei danni c.d. “differenziali” e/o “complementari” a cui il lavoratore ha diritto. Pertanto, specie nelle realtà più piccole, se in occasione di un infortunio importante il datore di lavoro non fosse in grado di sostenere il ristoro dei predetti danni al lavoratore (perché non supportato da una garanzia assicurativa adeguata), si potrebbe trovare a dover chiudere l’attività e far fronte con i mezzi propri; inoltre, per determinate forme societarie (tipicamente società di persone), se il patrimonio personale (che in tal caso verrebbe “aggredito” in relazione alla rivalsa) non fosse sufficiente, il lavoratore infortunato oltre al danno subirebbe anche la “beffa”.

Rispetto ai danni “differenziali” e “complementari”, proviamo a fare degli esempi riferiti alla rivalsa Inail, per far comprendere, per quanto possibile, al lettore, la differenza tra queste due fattispecie.

Nel danno “differenziale”, rubrichiamo le voci che, da un punto di vista quantitativo, non rientrano nella copertura indennitaria, mentre nel danno “complementare” le voci che, da un punto di vista qualitativo sono totalmente escluse dalla garanzia assicurativa (e già qui i primi problemi se pensiamo che Inail e Inps offrono coperture previdenziali mentre cosa diversa è la logica risarcitoria legata alle norme codicistiche).

Ad esempio, ricadono nel primo caso (danno differenziale), le eventuali maggiori somme a titolo di risarcimento del danno biologico permanente di grado pari o superiore al 6% non corrisposto da Inail stessa, poiché queste sono calcolate diversamente dal metodo risarcitorio ed, inoltre, potrebbe stabilirsi una divergenza del calcolo in sede di accertamento medicolegale (seppure entro certi limiti). Si tratta dunque di una differenza puramente quantitativa. Nello stesso computo, potrebbe ricadere la differenza stabilita in sede civile tra quanto liquidato a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e quanto calcolato da Inail sulla quota di rendita per invalidità superiori al 16% (la valutazione economica della lesione in ambito indennitario viene stabilita sulla base di criteri “astratti” e preconfigurati mentre nella RC calcolata sulla esatta misura del danno).

Nel secondo caso (danno complementare), teorie dottrinali permettendo, ricadrebbe il riconoscimento del danno morale (ed in parte quello esistenziale, se non ricondotto al danno biologico nel momento in cui può essere valutato dal punto di vista dinamico-relazionale). Si tratta, in questo caso di una differenza puramente qualitativa.
Una menzione a parte (per il fatto che ci si trova a cavallo tra il “quantitativo” ed il “qualitativo”), va fatta per i danni biologici patrimoniali che non raggiungono la soglia minima per il loro riconoscimento rispettivamente del 6% e del 16%, ed il danno biologico temporaneo.

Houston abbiamo un problema …

Ricordate il film Apollo 13?
Ecco, ora pensate ad una clausola RCI/O che non considera in garanzia determinate categorie di lavoratori … e magari di quelle considerate non contempla la compensazione dei danni differenziali e/o complementari. E questo è il minore dei mali …
La giurisprudenza ci porta all’attenzione dei casi che possono scardinare le comuni convinzioni, poiché determinano un perimetro molto ampio in termini di tutela del lavoratore infortunato, chiunque esso sia.

Pertanto, in alternativa alla consueta esposizione della dinamica di un sinistro (che di norma riportiamo nell’articolo), citiamo alcune sentenze che, affiancate all’analisi della garanzia RCI/O che di seguito riporteremo, speriamo possano sviluppare ulteriori considerazioni in termini di idoneità delle clausole stesse.

Citiamo tra le tante:

Cassazione Civile sezione Lavoro, sentenza n. 18469 del 26-10-2012.

Si tratta di un artigiano che si è infortunato cadendo dal tetto di una azienda durante un lavoro. Questi, dopo aver ricevuto da Inail l’indennizzo (era regolarmente iscritto alla Camera di Commercio e pagava i contributi), ha chiesto alla ditta committente il riconoscimento del danno biologico differenziale in forza del fatto che, nella sostanza, ipotizzava la sussisteva di un rapporto di lavoro subordinato: “il G aveva lavorato per la C dal 1996 al 2001 tutti i giorni, con lo stesso orario di lavoro dei dipendenti, era trasportato sul luogo di lavoro dal furgone aziendale, prendeva ordini da C, si accordava con quest’ultimo per eventuali assenze, …”.
Inoltre, “… l’aver svolto da parte del G del tutto occasionalmente alcuni lavori per altre imprese o privati non era circostanza significativa suscettibile di incidere sulla natura del rapporto intercorso Ira le parti, trattandosi di attività collaterali che ben potevano essere svolte da qualsiasi lavoratore subordinato”. Si riconosce così il danno biologico (la differenza fra l’indennizzo liquidato ex articolo 13 del d.lgs 38/2000 e l’importo previsto in applicazione delle tabelle in uso presso il tribunale di Milano).
Per quanto riguarda la compagnia di assicurazioni, questa respinge il sinistro ribadendo che la garanzia riguarda i dipendenti regolarmente assunti e non figure come l’artigiano anche se in regola con il pagamento dei contributi.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 marzo – 11 maggio 2012, n. 7260

Si tratta di un infortunio mortale sul lavoro. Il sinistro è avvenuto in occasione dell’esecuzione dei lavori di manutenzione della copertura di un capannone industriale, lavori affidati in appalto ad AB, che a sua volta li ha affidati in subappalto all’impresa Z, alle cui dipendenze lavorava la vittima del lavoro.
Si è così instaurato un contratto di subappalto di manodopera vietato dall’art. 1 della legge 23 novembre 1960, n. 1396. Viene chiamata in causa la società appaltante la quale, a sua volta, chiede di essere tenuta indenne dalla propria compagnia di assicurazione.
Questa respinge il sinistro sostenendo che il lavoratore non poteva essere considerato “terzo” e neppure in regola con gli obblighi dell’assicurazione di legge ai fini della garanzia RCO. La Corte di Cassazione valuta la copertura RCT/RCO in considerazione dell’interposizione di mano d’opera che si è stabilita e, di conseguenza, all’attribuzione della responsabilità del datore di lavoro effettivo e di quello interposto.
La Suprema Corte, cassando la decisione precedente della Corte di appello di Brescia a cui rinvia anche la decisione, afferma: “… la clausola (assicurativa) non menziona qualunque forma di irregolarità del rapporto di lavoro, ma solo la mancanza delle “assicurazioni di legge”, cioè un presupposto che incide sulla delimitazione del rischio assicurato, in quanto le assicurazioni di legge riducono l’eventualità che, in caso di sinistro, la compagnia assicuratrice sia chiamata a rispondere dell’intero danno.
Se quindi lo scopo della clausola fosse quello di delimitare il rischio assicurato, la circostanza che il dipendente ex lege (per effetto di intermediazione illecita) sia coperto dalle assicurazioni sociali (ancorché pagate da altri) non potrebbe considerarsi irrilevante. Ed ancora,
il riconoscimento del rapporto di dipendenza fra l’interponente e i dipendenti dell’interposto, ai sensi dell’art. 1 legge n. 1369/1960, ha lo scopo di rafforzare la tutela dei lavoratori, non quello di limitarla (in particolare per quanto concerne la questione della sicurezza sul posto di lavoro), e l’esclusione della garanzia assicurativa privatamente stipulata dall’interponente in favore dei propri dipendenti non va certo in questa direzione”.

Nel prossimo articolo analizzeremo alcune clausole RCI/O e con esse, la definizione di addetti e prestatori di lavoro (se presenti), oltre all’articolo “persone non considerate terzi”. In tal modo (e non sarà cosa semplice), leggendo “in combinato” tutte queste norme, cercheremo di stabilire se emergono eventuali criticità.