di Simona D’Alessio  

 

Responsabilità indiretta dei magistrati (soltanto lo stato potrà, cioè, agire contro di loro, non il singolo cittadino che ha subito un abuso durante un processo), con ampliamento delle fattispecie di «colpa grave»: sarà considerata tale sia la violazione della normativa europea, sia il «travisamento della prova». E le toghe dovranno rispondere anche del danno erariale. Con una serie di ritocchi, alcuni apportati nelle ultime ore, i senatori accendono il semaforo verde sul disegno di legge che disciplina la responsabilità civile dei giudici (1070) con 150 voti a favore, 51 contrari e 26 astenuti (fra cui Sel); insieme alla maggioranza si schiera il M5s («non abbiamo trovato un muro, questa volta» dichiara un esponente pentastellato, al termine dell’esame), mentre arriva il «no» da Fi, Gal e Lega nord a un testo che, adesso, ritorna all’esame di Montecitorio. Il parlamento rimette così mano alla legge Vassalli (117/1988), delineando il perimetro della responsabilità relativa all’operato della magistratura, e definendo in che misura lo stato potrà reclamare il risarcimento. Fra le innovazioni della norma, in cui sono stati immessi anche capitoli della riforma della giustizia del ministro Andrea Orlando, varata a palazzo Chigi alla fine di agosto, c’è sicuramente l’ampliamento della possibilità di ricorso, attraverso l’eliminazione del filtro di ammissibilità della domanda di indennizzo. Una scelta esaltata dal numero due del dicastero di via Arenula Enrico Costa: «In un quarto di secolo», dichiara al termine dell’approvazione del provvedimento, a palazzo Madama, che definisce «storica», le condanne «si contano sulle dita di una mano, e i cittadini danneggiati rinunciano a chiedere i risarcimenti, prevedendo di infrangersi contro il muro del filtro, proprio quel filtro di ammissibilità che» il disegno di legge «opportunamente cancella».

Toga responsabile, pertanto, nei casi di «dolo e colpa grave», un recinto in cui il legislatore inserisce la violazione manifesta delle norme e del diritto comunitari, il travisamento del fatto, o delle prove, poi l’affermazione (o negazione) di un fatto «la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa (o meno) dagli atti del procedimento», l’emissione di un provvedimento cautelare personale e reale fuori dai casi consentiti dalla legge, o «senza motivazione». E una correzione passata in aula, a firma del Ncd, aggiunge anche che si dovrà rispondere di danno contabile.

Vincolo di rivalsa in capo al presidente del Consiglio, tenuto a esercitarla («entro due anni» dal risarcimento avvenuto) nei confronti del giudice per «colpa grave», riconosciuta nell’ambito delle fattispecie appena elencate. Ma a quanto ammonterà il risarcimento richiesto dalle istituzioni? La disciplina prevede che non possa superare una somma pari alla metà di un’annualità, al netto delle trattenute fiscali, dello stipendio percepito dal magistrato nel momento in cui l’azione di rivalsa è proposta; l’esecuzione, quando avviene con il metodo della trattenuta, non potrà comportare «il pagamento per rate mensili di una misura superiore al terzo» della retribuzione netta.

A poche ore dal via libera dei senatori, Rodolfo Sabelli, presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), parla di «una riforma che risente di molti pregiudizi e di un atteggiamento molto superficiale». Al contrario, secondo l’Unione delle camere penali, il testo costituisce «una svolta», perché sembrerebbe «assurdo lasciare priva di sanzione un’aperta violazione di legge quale quella che si produce negando all’individuo di conoscere le ragioni per le quali venga privato dei più elevati diritti costituzionalmente garantiti».

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