di Gianluca Messercola* *gianlucamessercola@studiolegalebaldi.it 

 

La clausola claims made non è vessatoria. E dunque le polizze con questo tipo di clausola sono pienamente efficaci. La Corte d’appello di Roma con la sentenza n. 5942/2014 depositata lo scorso 30 settembre 2014, in riforma della decisione n. 12792 del tribunale di Roma del 13 giugno 2008, è tornata nuovamente ad occuparsi della questione relativa alla liceità o meno della clausola cosiddetta «claims made» contenuta nel contratto assicurativo.

Nelle polizze «claims made» il sinistro assicurato (l’oggetto) è «la richiesta di risarcimento del terzo» in deroga all’art. 1917 primo comma c.c., a mente del quale il contratto copre i rischi relativi ai fatti che si verificano durante il periodo di esplicazione degli effetti della polizza assicurativa a prescindere dalla dislocazione temporale, e questo giustifica che in alcuni casi le parti possano prevedere che la garanzia sia estesa anche ad eventi dannosi avvenuti anteriormente alla stipula del contratto (configurandosi una «claims made pura» senza limite temporale ed una «claims made spuria» quando tale limite viene determinato).

Investita nuovamente della questione, la Terza sezione civile ha confermato quell’orientamento, ormai da considerarsi maggioritario anche nel Supremo collegio, secondo il quale sussiste la piena efficacia della clausola claims made.

La Corte è partita dall’analisi dei principi su cui si fondano le varie teorie che ritengono la clausola nulla o vessatoria (perché in contrasto con l’art. 1917 c.c. quale norma primaria, perché viene a mancare il trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore, elemento essenziale del contratto, perché altera il regime della prescrizione) rapportandone gli effetti di nullità all’interno del contratto (automatica inserzione del contratto all’interno delle disposizioni di cui all’art. 1917 c.c. o la nullità dell’intero contratto ex art. 1419 c.c.).

Questa ricostruzione, che ovviamente non prescinde anche dalla discussione in merito alla ulteriore disputa sulla tipicità o atipicità del contratto assicurativo della responsabilità civile con clausola claims made, ha indotto la Corte d’appello di Roma a ritenere pienamente valida la claims made in questione. Attenzione, però: è opportuno, anzi necessario, evidenziare la svista percettiva in cui è caduto il Collegio, quando nel rapportare il suo convincimento al caso specifico, ritiene «pura» una clausola avente periodo di postuma determinato a tre anni. Giova allora ricordare che la clausola claims made è pura allorché garantisce tutte le richieste di risarcimento pervenute durante il tempo dell’assicurazione, con la conseguenza che la copertura assicurativa risulterà estesa anche per le eventuali condotte negligenti tenute nel passato, la cui azione risarcitoria non sia ancora prescritta (dieci anni). In questo caso, non si assiste a una vera e propria limitazione della garanzia ma, più semplicemente, a uno spostamento convenzionale del periodo di copertura.

Invece la claims made spuria garantisce le richieste di risarcimento pervenute durante il periodo di assicurazione e, inoltre, limita anche la retroactive date, ossia l’estensione alle condotte negligenti tenute dal professionista nel passato: in definitiva, la copertura riguarderà le richieste di risarcimento pervenute durante il periodo di assicurazione, relative a condotte tenute durante lo stesso periodo o, comunque, un periodo inferiore ai dieci anni. Il lapsus è evidente, e merita maggiore approfondimento, tenuto conto che le maggiori criticità sono proprio rinvenibili nella differente strutturazione della claims, tra pura e spuria, allorquando in tema di vessatorietà, la prima (legata alla prescrizione decennale) è chiaramente al riparo da qualsivoglia contestazione, mentre la seconda necessiterebbe di tutte quelle precauzioni , ex art. 1341 c.c., a salvaguardia della sua liceità.

Fermo tale dato, la Corte d’appello giunge comunque a valide conclusioni con un ragionamento controfattuale, evidenziando che tali clausole siano pienamente efficaci in quanto:

– non si verte in una ipotesi di nullità parziale;

– non è possibile sostituirle con la norma dell’art. 1917 comma 1 c.c.;

– non viene in rilievo la disciplina dettata dall’art. 1341 c.c. posto che con dette clausole si delimita l’oggetto del contratto di assicurazione, il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa;

– non trova applicazione l’art. 2965 c.c. perché la clausola claims made non stabilisce termini di decadenza ma delimita l’oggetto del contratto.

Si potrebbe obiettare, per quanto in precedenza detto sulla differenza tra claims pura e spuria, che il terzo punto possa fornire elementi di criticità in ordine alla clausola spuria, tuttavia, pur sussistendo dubbi di automaticità applicativa, ciò che appare tranciante è che da tale quadro non possa ritenersi valida la tesi secondo cui in presenza di clausola spuria si debba ricondurre la polizza al modello «loss occurrence».

È la stessa Corte, infatti, che richiamando conformi sentenze della stessa Sezione, precisa come «la clausola claims made, lungi dall’escludere la sussistenza del rischio garantito, lo delimita e circoscrive in una prospettiva diversa da quella che discenderebbe dall’applicazione del modello loss, perché consente all’assicurato di garantirsi non soltanto per gli errori professionali compiuti in futuro, ma anche per quelli già eventualmente verificatisi in un determinato periodo di tempo e di cui il professionista medesimo non sia consapevole, ponendosi pertanto completamente al di fuori delle clausole vessatorie, sia per gli effetti di cui all’art. 1341 c.c. sia con riguardo alla disciplina di tutela del consumatore». In definitiva, la chiara e netta intenzione di porre detta clausola al di fuori di quelle vessatorie, sia per gli effetti di cui all’art. 1341 c.c. sia con riguardo alla disciplina di tutela del consumatore appare il tentativo, neanche troppo velato, di cristallizzare nella tipicità il contratto assicurativo con clausola claims made, rendendolo dunque pienamente valido idoneo ed efficace.