di Sara Seligassi  

 

I consigli d’ammnistrazione «spaventano» i manager. È sempre maggiore, infatti, il numero di dirigenti che preferiscono rinviare al mittente la richiesta di entrare nei board delle società, quotate e non. Secondo una ricerca condotta da Clifford Chance e presentata lunedì scorso presso la sede della Borsa Italiana, il 47% dei manager intervistati ha dichiarato di essere riluttante a entrare in un cda a causa dei rischi associati alla conseguente responsabilità individuale legati alla carica di amministratore. I vertici societari hanno infatti la responsabilità individuale, sia civile sia penale, rispetto agli illeciti commessi dalla società. La percentuale di riluttanti è in crescita in tutta Europa (52%) e anche negli Stati Uniti (58%).

«Il cda è il responsabile ultimo del sistema di controllo e gestione dei rischi», ha spoegato Alberta Figari, partner di Clifford Chance. «Tuttavia, è importante anche la composizione del cda: una composizione troppo ampia, come avviene in alcune realtà italiane come le banche popolari, non è funzionale e rende complesso gestire i rischi e fare gli opportuni controlli. sarebbe altresì importante rafforzare il ruolo del collegio sindacale facendo rientrare al suo interno le responsabilità del consiglio di vigilanza». «Nessun modello è infallibile o universalmente esportabile: ogni paese deve fare i conti con le proprie leggi ma anche con la propria cultura» ha aggiunto Paolo Sersale, anche lui partner di Clifford Chance. «Tuttavia è auspicabile una maggiore collaborazione tra Autorità e privati: occorre fare squadra per far emergere gli illeciti e migliorare la competitività complessiva del sistema».

Nel corso del convegno sono emersi diversi modelli ed è stata presentata la situazione di altri paesi, in primis il modello degli Usa, dove nel corso degli anni alcune procedure come il «Whistleblowing» e i «Non prosecution agreements» per chi fa segnalazioni proattive alle autorità vengono ormai applicate con successo da alcuni anni. «In Italia ci confrontiamo con un modello già valido, seppur perfettibile grazie all’esperienza maturata sul campo», ha aggiunto Sersale. «Non va trascurata però la percezione negativa che si ha dell’Italia in fatto di rischi. Questo gap tra situazione reale e situazione percepita influisce pesantemente sull’attrattività all’estero delle nostre aziende e dei nostri prodotti, con un danno per l’intero sistema paese. In questo senso, abbracciare modelli avanzati di compliance è un investimento importante».