di Roberta Castellarin e Paola Valentini

I risparmi gli italiani li metteranno pure sotto il materasso, ma in ogni caso è in aumento la quota di reddito non destinata al consumo. «In un quadro economico ancora molto difficile, le famiglie italiane stanno ricostituendo il monte risparmi: la propensione, che nel 2012 aveva raggiunto il punto di minimo storico dell’8,4%, sta recuperando e nel corso del 2013 dovrebbe aumentare di circa 1 punto percentuale», emerge dall’Osservatorio di ottobre 2013 sui Risparmi delle famiglie, redatto da Gfk Eurisko e Prometeia.

Quest’ultima prevede che nel prossimo triennio «l’uscita dalla recessione produrrà un aumento del reddito disponibile, che però non si tradurrà in misura proporzionale in una crescita dei consumi. Dovrebbe pertanto crescere il flusso di risparmio investito in attività finanziarie e il relativo contributo alla crescita complessiva della ricchezza finanziaria».

Particolare interessante, si tratta di famiglie di fascia media, quelle che avevano più risentito della crisi e che ora recuperano lentamente. E se durante la fase più difficile della crisi le private bank si erano dedicate interamente ai Paperoni, immuni dalla gelata dell’economia, oggi con il miglioramento della situazione gli istituti puntano anche su questo segmento meno facoltoso, in gergo chiamato affluent, ovvero con patrimoni tra i 100 e 500 mila euro.

Dice Edoardo Riccio, Principal di Roland Berger: «In generale, considerando la regola fondamentale della segmentazione dei clienti privati delle banche, quelli affluent finiscono per essere una terra di nessuno, una via di mezzo tra chi, come i clienti di massa, hanno esigenze bancarie semplici, transazionali e a costi contenuti e chi, come i clienti private, hanno un chiaro bisogno di consulenza sugli investimenti».

In quest’ottica l’approccio alla clientela affluent in Italia è sempre stato basato su modelli di servizio simili al mercato di mass market, a costi lievemente più contenuti. Ma ora l’impostazione inizia a cambiare. «Il segmento affluent è oggetto in Europa e in Italia di numerose riflessioni da parte delle principali banche, per varie ragioni. Quando i tassi di interesse sono bassi e la clientela di massa rende poco, rappresenta il segmento di maggior valore per le banche. Inoltre si tratta di clienti mediamente anziani (65 anni) e questo fa sì che si avvicini l’epoca del passaggio generazionale. Si tratta di un momento delicato perché spesso il rapporto di fiducia con la banca, consolidato per i padri, è meno forte nei figli», aggiunge Riccio.

 

Inoltre, quello affluent è un segmento in cui le banche italiane tendono a perdere masse nei confronti soprattutto delle reti di promotori finanziari, che negli ultimi anni sono cresciute molto, non solo in termini di raccolta ma anche di reputazione da spendere con la clientela. Peraltro sullo sfondo c’è anche la revisione della Mifid che prevederà una maggiore spazio alla consulenza e quindi modelli nuovi da costruire. «Si va verso un modello che deve seguire logiche più simili a quelle oggi adottate per la clientela private», prosegue Riccio. E non si tratta tanto di una revisione della gamma dei prodotti proposti o di ampiezza dell’offerta, ma nella capacità di aiutare il cliente a trovare il mix di investimenti più adatto alle sue esigenze. Non è necessario un prodotto personalizzato, ma un’analisi personalizzata delle esigenze da soddisfare che poi portano come esito alla scelta del servizio d’investimento.

 

Anche nel private banking, con l’uscita dalla crisi l’industria cerca nuovi punti di riferimento, ma a differenza del segmento affluent qui la sfida è affiancare un investitore che sa bene quello che vuole. «Il 2012 è stato un anno di test del cliente private verso gli istituti», spiega l’Aipb, l’Associazione italiana del private banking. Che rileva una diminuzione del numero di banche di riferimento dei Paperoni: 2,5 istituzioni bancarie utilizzate nel 2010; poi 2,8 nel 2012 e 2,4 nel 2013, con una porzione media di portafoglio del cliente private presso l’istituto di riferimento del 65% del suo patrimonio finanziario totale.

Per questo la nuova sfida per le private bank è essere scelti come banca partner. «Investire, oggi, richiede un coinvolgimento importante del cliente. Questo spiega il trend verso la semplificazione portato avanti dai clienti attraverso la diminuzione del numero di istituti di riferimento emersa nelle recenti indagini di mercato Aipb. Non è una razionalizzazione dei costi ma una maggiore attenzione agli asset. Vengono ridotti gli istituti di riferimento, ma le aspettative sul servizio restano elevate», sottolinea Fabrizio Fornezza di Gfk Eurisko. Una maggiore attenzione al proprio patrimonio, perché nel segmento alto del private banking, a differenza che nelle altre fasce, la capacità di risparmio soffre. Spesso infatti le famiglie sono costrette a dirottare nelle proprie imprese le risorse accumulate in un momento in cui si fa fatica a ottenere credito dalle banche. Non a caso secondo le stime dell’Aipb a fine 2013 il mercato potenziale del private banking si conferma in crescita con quasi 940 miliardi di euro, soprattutto grazie all’effetto positivo delle performance finanziarie. Un altro fenomeno nuovo è l’utilizzo maggiore di Internet. Il cliente private, molto più della media della popolazione italiana è nell’87% dei casi un internauta, e per questo vede il consulente non più come una guida indiscussa ma come una figura in grado di fornire spunti e riferimenti. «Il private banking per affermarsi definitivamente come industria ha bisogno di valorizzare caratteristiche proprie che ha costruito nel passato, ha bisogno di innovare e creare qualcosa di nuovo», conclude Fabio Innocenzi, amministratore delegato di Ubs Italia e vicepresidente della Aipb. (riproduzione riservata)