di Andrea Di Biase

 

Un complotto, sapientemente organizzato dai vertici di Mediobanca, Alberto Nagel e Renato Pagliaro, per spogliare la famiglia Ligresti del controllo di Fondiaria-Sai, dandola in sposa alla traballante Unipol, finalizzato non tanto a salvaguardare l’esposizione della banca d’affari nei confronti del gruppo assicurativo, quanto a espellere dal sistema un soggetto potenzialmente ostile ai disegni di Piazzetta Cuccia, come appunto i Ligresti.

Un complotto al quale, salvo rare eccezioni, hanno preso parte, chi in modo consapevole e chi no, un po’ tutti. Le autorità di vigilanza, Consob e Isvap in prima fila, che avrebbero spianato la strada al gruppo guidato da Carlo Cimbri, chiudendo gli occhi di fronte alle fragilità di bilancio della compagnia bolognese. I consulenti dei Ligresti, Premafin e FonSai(Banca Leonardo, Goldman Sachs, Citi, Rothschild, gli avvocati Marco De Luca e Giuseppe Lombardi), che invece di fare gli interessi dei propri clienti si sarebbero prestati ad avallare la fusione, nonostante i concambi fossero eccessivamente favorevoli ad Unipol.
I giornali, come Il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore e Milano Finanza, pronti a intervenire a sostegno dei disegni diMediobanca ogniqualvolta l’operazioneUnipol-FonSai sembrava sul punto di saltare. Ma anche il commissario ad acta, Matteo Caratozzolo, che invece di indagare sui rapporti tra Fondiaria-Sai eMediobanca si sarebbe concentrato esclusivamente sulle operazioni realizzate tra la compagnia e la famiglia azionista segnalate nella denuncia del fondo Amber.
A rileggere oggi, dopo lo scoppio del caso Cancellieri e la pubblicazione sulla stampa di parte degli atti dell’inchiesta della Procura di Milano sull’ex presidente dell’Isvap, Giancarlo Giannini, la trascrizione della conversazione del 12 gennaio 2013 tra Giulia Ligresti e il commercialista Michele Gulino, le motivazioni avanzate dall’ex presidente di Premafin a supporto della tesi del grande complotto potrebbero addirittura sembrare verosimili.

 

Le deposizioni davanti al pm di Milano, Luigi Orsi, dell’ex attuario incaricato diFondiaria-Sai, Fulvio Gismondi, sembrano infatti andare nella direzione indicata dalla figlia di Salvatore Ligresti. Gismondi, che era il professionista incaricato di verificare se il valore delle riserve messe a bilancio dai vertici di FonSai fosse o meno congruo e che nel procedimento parallelo sull’ex compagnia dei Ligresti condotto dalla Procura di Torino è indagato per concorso in falso in bilancio aggravato, manipolazione del mercato e falsità ideologica in certificati, davanti a Orsi, che lo ascolta invece come testimone, è un fiume in piena. Parla di presunte pressioni di Nagel sull’allora presidente dell’Isvap Giannini, affinché quest’ultimo si adoperasse per «riportare in carreggiata» Salvatore Ligresti e i suoi figli, che dopo la firma dell’accordo vincolante tra Premafin e Unipol (gennaio 2012) si stavano opponendo alla fusione con Bologna. Non solo. Lancia anche pesanti accuse allo stesso Giannini e a Cimbri, sostenendo che l’ex presidente dell’Isvap avrebbe dapprima chiuso gli occhi sulle irregolarità nella gestione di FonSai in cambio dei favori ricevuti da Ligresti, ma che poi, una volta girato il vento, si sarebbe adoperato per facilitare il passaggio della compagnia sotto il controllo di Unipol, nonostante quest’ultima non avesse i requisiti patrimoniali per procedere all’acquisizione. «Non può sfuggire la singolare preferenza che Isvap esprime per il matrimonio Unipol-Fonsai», afferma Gismondi sentito da Orsi nell’aprile 2012, nel pieno dunque della trattativa tra le due compagnie. L’ex attuario di Fondiaria-Sai, che in quella trattativa, ricopriva un «incarico nella valutazione del concambio», sostiene inoltre che in un colloquio avuto con Cimbri nel marzo di quell’anno l’ad di Unipol gli avrebbe fatto presente che, nonostante il lavoro dell’Isvap fosse ancora in corso, «Giannini gli aveva assicurato che avrebbe assicurato l’operazione». «Con quell’incontro», spiega Gismondi ad Orsi, «Cimbri voleva farmi capire che l’operazione era gradita ai più alti livelli istituzionali».

 

Questa ricostruzione, rilanciata dalle agenzie di stampa nella giornata di mercoledì 20 novembre, è stata bollata come «non rispondente al vero» e «destituito di ogni fondamento» da un portavoce del gruppo Unipol. Nelle carte dell’inchiesta milanese, tuttavia, Gismondi fornisce ulteriori dettagli a supporto della sua tesi. «Secondo il mio giudizio», dichiara al pm sempre nella primavera del 2012, «ma è una mia visione seppure supportata da numeri, Unipol Assicurazioni (controllata dalla quotata Ugf, ndr) ha urgente bisogno di essere capitalizzata. La sua controllante la iscrive a bilancio a un multiplo importante del suo valore. Si può ipotizzare che con questa operazione il management di Unipol provi a nascondere la sottocapitalizzazione». Gismondi mostra poi al pm una tabella che indica il valore attribuito dagli advisor delle due compagnie rispettivamente a FonSai e a Unipol Assicurazioni. E’ la famosa tabella pubblicata sui giornali ai tempi della trattativa e dal quale emergeva, anche alla luce delle differenti metodologie di analisi utilizzate, una larghissima discrepanza tra i valori attribuiti dalle rispettive squadre di consulenti alle due compagnie. Gli advisor dei bolognesi attribuivano infatti a Unipol Assicurazioni un valore di 1,678 miliardi, mentre quelli di FonSai, che si basavano sulla due diligence condotta dai revisori di Ernst & Young (riassunta nell’ormai famoso progetto Plinio) erano arrivati a sostenere che, in caso di integrale svalutazione dei titoli strutturati in portafoglio alla compagnia delle coop, quest’ultima avrebbe avuto un patrimonio netto negativo per 26 milioni. Una discrepanza che riguardava anche il valore di FonSaiche i consulenti di quest’ultima ravvisavano essere pari a 1,618 miliardi, mentre gli advisor di Unipol fissavano, anche alla luce di una teorica svalutazione di gran parte del patrimonio immobiliare, in 448 milioni.

 

Sotto questo punto di vista, dunque, gli stralci della testimonianza di Gismondi, nonostante siano stati rilanciati con enfasi a più di un anno di distanza dalla deposizione davanti al pm, poco aggiungono a quanto già era stato portato all’attenzione del mercato e dell’opinione pubblica nella primavera del 2012. Il tema rimane dunque lo stesso di allora e riguarda la presunta debolezza patrimoniale del gruppo Unipol in relazione al portafoglio di titoli strutturati e l’atteggiamento assunto dalle autorità di vigilanza nella verifica di tale consistenza. Stando alla testimonianza di Gismondi e agli altri atti del procedimento milanese finiti sui giornali, sembrerebbe che sia la Consob sia l’Isvap siano state di manica larga con il gruppo bolognese.

Peccato, però, che queste tesi si scontrano con una verità storica: l’iter autorizzativo della fusione Unipol-FonSai, almeno nella tempistica, è stato tutt’altro che sbrigativo, tanto che l’ultimo ok all’integrazione tra i due gruppi è arrivato solo la scorsa estate, dopo un’istruttoria di quasi 8 mesi condotta non più dalla chiacchierata Isvap di Giannini ma dall’Ivass, la nuova autorità di vigilanza sulle assicurazioni, che dal primo gennaio 2013 fa capo alla Banca d’Italia e che, nel caso dei progetti di fusione, delibera con un collegio formato dal direttorio di Via Nazionale (compreso dunque il governatore Ignazio Visco) integrato dai tre consiglieri dell’authority (che è presieduta dal dg di Bankitalia, Salvatore Rossi). Anche la Banca d’Italia e l’Ivass vanno dunque iscritti d’ufficio al circolo di chi ha tramato contro i Ligresti? Una tesi un tantino azzardata. Quando Orsi avrà ultimato la sua indagine sui rapporti tra i Ligresti e le banche la matassa potrebbe sciogliersi. Almeno per togliersi gli ultimi dubbi sull’operazione.

 

E alla procura si affida lo stesso Gismondi, intercettato al telefono dalla Guardia di Finanza di Torino mentre parla l’8 ottobre del 2012 con l’ex condirettore generale Vita e Danni di Unipol Assicurazioni, Alberto Maturi (uscito dal gruppo bolognese nel gennaio 2011, dunque ben prima dell’operazione Fonsai). «Guarda», dice Maturi a Gismondi, «per me gli unici che possono fare qualcosa, se c’hanno qualcosa in mano, sono i signori di Milano», trovando d’accordo l’ex attuario di FonSai, che risponde: «Ma certo, esatto». Gismondi è tuttavia scettico sul fatto che la magistratura, che finora si è limitata a indagare senza influenzare (come accaduto invece ai tempi delle scalate ad Antonveneta e Bnl) l’esito della fusione tra Unipol eFonSai, possa raggiungere risultati tangibili. «In Italia», commenta Gismondi all’amico, «nella finanza vale esattamente come nelle borgate romane, tu devi fare la casa abusiva, la tiri su (…) Allora fai una schifezza sui mercati finanziari, fai veramente la devastazione delle norme e delle regole, però la porti a compimento e poi chi ti fa tornare indietro… Si beccheranno qualche avviso di garanzia, magari ci sarà pure qualche arresto importante, ma è robetta, è robetta».

 

Nonostante la vena di pessimismo, Gismondi, che assieme all’ex dirigente dell’Isvap, oggi a capo del servizio studi dell’Ivass, Giovanni Cucinotta, sembra essere uno dei testimoni chiave dell’inchiesta milanese su Unipol-FonSai, sembra comunque determinato a portare fino in fondo la propria battaglia, come testimonia la telefonata del 26 ottobre 2012 tra il professionista e un non meglio precisato Roberto, che risponde da un’utenza intestata alla sede di Vicenza della Palladio Finanzaria. Si tratta della società guidata da Roberto Meneguzzo e Giorgio Drago, che assieme al fondo Sator di Matteo Arpe, avevano cercato di contendere a Unipol il controllo diFondiaria-Sai. «Hai abbassato la bandiera?», chiede Roberto a Gismondi, che risponde: «Noooooo, io non l’abbasserò mai, non l’abbasserò mai». «Ma ci sono ancora chance?», chiede lo sconosciuto interlocutore. «Secondo me sì. Anche perché i casini sono proprio grossi, grossi, grossi, secondo me. Poi sai, io ho vissuto sulla mia pelle cose molto eclatanti. Poi sai, le cose eclatanti non significa che fanno nascere cose eclatanti. Che ti devo dire, vediamo». Vedremo. (riproduzione riservata)